Alessandro Dell’Orto, Libero 27/3/2012, 27 marzo 2012
SALVATE IL BAMBINO FILIPPO
E adesso qualcuno, per favore, liberi il piccolo Filippo e gli permetta di tornare ad essere un bambino. Semplicemente un bimbo di 9 anni che fa la vita da bimbo di 9 anni e che ragioni da bimbo di 9 anni e che si diverta da bimbo di 9 anni e che pianga da bimbo di 9 anni. Che tifi pure Inter (a proposito, in bocca al lupo che di questi tempi non deve essere molto facile...), ma da bimbo di 9 anni e a quel paese i grandi, le polemiche, gli striscioni, le televisioni e noi giornalisti.
Già, Filippo. Non se ne può più di vederlo – con il suo simpatico caschetto biondo da birbante – su ogni canale, in tutti i siti web, negli stadi e negli studi come fosse un esperto di tattica, un ricco presidente, un attore di Hollywood o un genio della matematica. No, avremmo fatto volentieri a meno dell’ennesimo personaggio stile reality show, preso e sbattuto nel mondo della notorietà per continuare a raccontare una storia che invece è già abbondantemente terminata. Game over.
SORRISI E NOSTALGIA
E dire che Filippo – ovvio che in tutto questo non c’entra nulla – all’inizio era davvero la dimostrazione di come esiste un modo differente di vivere il nevrotico football italiano: ironia, semplicità, spensieratezza. E quando, sulle tribune di San Siro durante Inter-Bologna, il bambino ha esposto un cartello con scritto “Potete vincere? Altrimenti a scuola mi prendono in giro! Grazie. Filippo”, ognuno di noi è tornato nostalgicamente indietro nel tempo, ha riscoperto piccoli valori in disuso e ha ritrovato un innocente sorriso guardando una partita di pallone, cosa non da poco. I giornali si sono giustamente interessati a Filippo, le tv l’hanno ripreso, i fotografi si sono scatenati con i flash e così – quasi senza volerlo – è nata una piccola e simpatica star. Tanto che l’Inter ha invitato il piccolo tifoso alla Pinetina (ha incontrato la squadra, ha assistito all’allenamento e ha avuto in dono la maglia di Javier Zanetti con l’autografo) e i giornali hanno pubblicato le sue interviste («Io non cambio squadra, resto tifoso dell’Inter. Quando abbiamo vinto il triplete ero io a prendere in giro i miei amici, ora posso girare a testa alta... Spero che questo cartello esposto con il Bologna sia l’ultimo che mostrerò». E dopo aver conosciuto meglio Filippo, tutti – anche i più diffidenti – si sono convinti che lo striscione era davvero opera sua: «L’idea mi è venuta in mente perché vedevo l’Inter perdere da qualche partita, mio papà mi ha proposto di andare a vedere Inter-Bologna e io gli ho detto che, se perdevamo, a scuola mi avrebbero preso in giro. Da lì è nata l’idea di scriverlo. I prossimi risultati? Spero che l’Inter ritorni presto a vincere, anche perché io non cambio la mia squadra. Piuttosto cambio la scuola...», aveva aggiunto brillantemente il piccolo in risposta ai tifosi juventini che, per ironizzare, la settimana dopo avevano esposto un cartello con scritto: «Filippo, o cambi squadra o cambi scuola».
ECCESSI ALL’ITALIANA
Fin qui tutto bene. Simpatico. Genuino. Poi, però, i soliti eccessi all’italiana. Filippo (o chi per lui) si è sentito in obbligo di continuare a far parlare di sé e si è presentato allo stadio con altri striscioni, tipo quello con scritto «Nella vita bisogna saper perdere. Io la lezione l’ho imparata... Voi dimenticatela!», oppure quello con i disegni di oggetti porta fortuna come peperoncino, quadrifoglio, aglio e ferro di cavallo. Poi, sono arrivate le tv e i programmi in diretta, le ospitate (Telelombardia) e il ruolo di opinionista fisso.
Ne avremmo fatto volentieri a meno e che nostalgia di quel cartellone esposto in occasione di Inter-Bologna. Che nostalgia di quel modo differente di vivere il nevrotico football italiano, con ironia, semplicità e spensieratezza. Qualcuno, ora, liberi il piccolo Filippo. E gli permetta di tornare ad essere – semplicemente – un bambino tifoso dell’Inter.
Alessandro Dell’Orto