Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 27/3/2012, 27 marzo 2012
Non tutta la Fiom dice no all’art.18 – Il «signor 18» abita a Modena. L’hanno soprannominato così perché è diventato l’emblema del discusso articolo 18, in pratica la sua vicenda ha anticipato il piano di Elsa Fornero
Non tutta la Fiom dice no all’art.18 – Il «signor 18» abita a Modena. L’hanno soprannominato così perché è diventato l’emblema del discusso articolo 18, in pratica la sua vicenda ha anticipato il piano di Elsa Fornero. Licenziato, s’è rivolto al giudice che gli ha dato ragione, poi lui ha accettato un’indennità anziché il reintegro. Certo, con la proposta-Fornero non è il lavoratore a scegliere ma è il giudice a decidere. Però quanto è accaduto a Modena, in uno stabilimento importante, la Maserati governata da Sergio Marchionne, indica lo scenario che si aprirà dopo l’approvazione della legge in Parlamento. La cronologia dei fatti. Nel dicembre 2008, Eugenio Scognamiglio, delegato sindacale Fiom, napoletano, 42 anni, da 6 anni in Maserati, è in prima fila in una serie di scioperi e iniziative per difendere il posto di lavoro di 112 precari. Il settore auto è in crisi, la Maserati non rifugge da questa situazione e in più lo stabilimento di Modena (700 dipendenti) ha bisogno di una riorganizzazione poiché è strutturato per produrre appena 5 mila vetture. Risultato: prima di procedere con la cassa integrazione per gli operai, non viene rinnovato il contratto ai precari. Il sindacato protesta e incomincia il sommovimento in fabbrica. Di fronte ai cortei interni che bloccano la produzione per 5 giorni e, secondo i dirigenti della Maserati, costringono anche chi non è d’accordo con la protesta a incrociare le braccia, arriva il licenziamento di colui che viene considerato il più focoso dei contestatori. Un licenziamento per giusta causa, secondo la casa automobilsitica: Eugenio Scognamiglio è accusato di aver aggredito una guardia e forzato la porta di un dirigente durante le proteste, viene querelato per violenza privata, minacce e lesioni. Lui racconta: «Una mattina all’ingresso della fabbrica mi sono trovato davanti cinque guardie giurate che mi hanno bloccato e non mi volevano fare entrare. Sono riuscito ugualmente a varcare l’ingresso ma sono stato chiamato dall’ufficio del personale, qui mi è stato consegnato il documento che mi comunicava la ”sospensione cautelare”, in pratica il pre-licenziamento, che infatti è arrivato pochi giorni dopo. Mi accusavano di aver guidato la manifestazione all’interno dell’azienda e di aver preso a calci porte e vetrate, rompendo alcune maniglie. Ma l’accusa principale era quella di aver causato il ferimento di una guardia giurata dopo averla spinta a terra. Una colluttazione c’è stata davvero ma io non ho fatto altro che mettermi in mezzo per tentare di separare i manifestanti e le guardie». Una versione rigettata dalla Maserati, che ha proseguito l’iter del licenziamento nonostante sindacati e partiti premessero per un accomodamento. Quasi un revival del ’68 nelle parole del Collettivo comunista modenese: «I padroni gonfiano i loro conti in banca e svuotano le tasche dei lavoratori. Il governo di speculatori, affaristi, mafiosi e fascisti difende gli interessi dei padroni e dei trafficanti e reprime sempre più duramente chi osa lottare contro questo stato di cose». Lui incomincia lo sciopero della fame, poi sale sul tetto della Maserati e minaccia il suicidio. Su Facebook nasce un sito di solidarietà. Un appello a Luca di Montezemolo, presidente Ferrari (la casa del cavallino produce i motori Maserati) nonché aspirante-politico, cade nel vuoto, cioè rimane senza risposta. La vicenda passa al giudice del lavoro che decide il reintegro: «non emerge una verosimile esistenza del presupposto causale estintivo (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) del provvedimento». Ma la Maserati risponde: no, grazie. Ovvero: gli paghiamo il salario ma non lo vogliamo in fabbrica, in attesa dell’esito del ricorso contro la sentenza del magistrato. A questo punto, e siamo a pochi mesi fa, Eugenio accetta la proposta dell’azienda, ovvero la monetizzazione del licenziamento: «ho preso i centomila euro che mi hanno offerto», dice, «e aperto un bar». Il “signor 18” diviene così l’antesignano della soluzione economica del licenziamento. La riforma proposta dal governo prevede infatti solo un’azione risarcitoria (da 15 a 27 mensilità). «Il mio lavoro era in Maserati e le mie ragioni sono dimostrate dall’ordinanza del giudice», dice Scognamiglio, «ma non potevo aspettare chissà quanti anni per un verdetto definitivo né prendere per tanto tempo uno stipendio senza lavorare, prima di tutto vengono la famiglia e la dignità. Ogni giorno vedevo mia moglie svegliarsi per andare a lavoro e i miei figli andare a scuola, mentre io rimanevo a letto senza uno scopo. Mi sentivo inutile. Quindi meglio i soldi e chiudere la faccenda».