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 2012  marzo 27 Martedì calendario

Su Olivetti falsità Il crac non c’è stato - Caro Giuliano Ferrara, constato che in questo periodo una delle sue principali occupazio­ni è q­uella di seguire tutto quanto ri­guarda Repubblica ed il suo editore

Su Olivetti falsità Il crac non c’è stato - Caro Giuliano Ferrara, constato che in questo periodo una delle sue principali occupazio­ni è q­uella di seguire tutto quanto ri­guarda Repubblica ed il suo editore. Nell’articolo che lei ha pubblicato su Il Gior­nale del 25 marzo, commette due falsi, rispet­to ai quali le chiedo una smentita: 1) quando Olivetti dovette ridurre fortemen­te il numero dei suoi dipendenti per cambia­menti epocali rispetto alla propria antica tec­nologia meccanica, a causa dei quali scompar­vero mestieri e prodotti (lei si ricorda ancora la calcolatrice meccanica?), si avviò presso il ministero del Lavoro una dura trattativa che ri­guardava settemila persone, nel contesto del­la quale peraltro Olivetti non chiese mai che Poste assumesse dipendenti Olivetti, né vi fu alcun accordo in tal senso, tanto che di fatto nessun dipendente Olivetti fu trasferito a Po­ste; 2) l’Olivetti non è mai fallita come erronea­mente si afferma. Ha pagato sempre tutti, di­pendenti, fornitori, banche, imposte e contri­buti e per la straordinaria «invenzione» che eb­bi nel trovarle una nuova visione nelle teleco­municazioni, dette origine alla più grande cre­azione di valore in cinque anni mai avvenuta inItalia e si trovò ad essere l’azienda più liqui­da nel nostro Paese tanto che si comprò, dopo la mia uscita e contro il mio parere, Telecom Italia. Per favore, ne prenda nota e ne dia con­to ai suoi lettori. Con i migliori saluti Carlo De Benedetti *** Ma non servono ragionieri per parlare di fallimento - Caro dottor De Benedetti, in effetti quel che lei fa co­me editore e come politico mi interessa sempre molto per orientarmi e informare i miei lettori. Risulta da notizie del Corriere della se­ra , datate 11 maggio 1993 e mai smentite (e da altre fonti controllabili), che 552 ex dipendenti della Olivetti di Crema furo­no assunti nel settore pubblico, dalle Po­st­e al ministero dei Beni culturali all’am­ministrazione del Tesoro. La pratica industriale ordinaria in molti e molti casi, come lei sa benissimo, è sempre stata quella di risolvere con prepensionamenti contrattati e concer­­tati, e altri sistemi, compreso il trasferi­mento ope legis di dipendenti dal priva­to al pubblico nei casi più gravi, i cosid­detti esuberi. Olivetti non fece in questo senso ecce­zione. La mia polemica è con il facilismo che la spinge, in questo sistema di rela­zioni private e pubbliche con lo stato, per non parlare di telescriventi, a emette­re sentenze di «inutilità» a carico di una riforma del mercato del lavoro (compre­so l’articolo 18 dello Statuto) che cerca di attribuire all’impresa una misura di responsabilità e di libertà finalizzata al­lo sviluppo produttivo e all’allargamen­to dell’occupazione, con le giuste tutele contro gli abusi. Mi spiace che lei ritenga falsa e offensiva questa polemica. Quanto all’Olivetti, fallimento nella lingua di un giornalista non è necessaria­ment­e un concetto commerciale o ragio­nieristico. Lei ha pagato i fornitori ecce­tera, d’accordo, ma l’Olivetti non esiste più da tempo e la creazione di valore poi investita nell’acquisto di Telecom pas­sò, come tutti sanno, per la concessione alla Omnitel Pronto Italia di una conces­sione come secondo operatore della te­lefonia, fatta con amabilità dal governo Ciampi un minuto prima delle elezioni del 1994. «Strana e inaccettabile», definì allora Fausto Bertinotti quella decisione di un governo in carica per gli affari correnti. Bertinotti dovrebbe essere d’accordo con lei nel giudizio sulla riforma del lavo­ro della Fornero. Sospetta creazione di valore, pensammo tutti. È poi ben vero che l’ingegner Scaglia lavorò benissimo in Omnitel sul rischio e sulla sfida tecno­logica. Vero che l’ingegner Colaninno fondò la sua fortuna di industriale e di finanzie­re su quell’acquisto da lei sconsigliato. La Telecom, poi, fu comprata e rivendu­ta e ricomprata con il contributo decisi­vo di investitori anche esteri, fu conside­rata un’avventura da «capitani coraggio­si », e parce sepulto . Non vorrei andare avanti, sennò riapriamo anche il caso della Sme, e finisce che mi chiede un ri­sarcimento. In questo siete temibili, voi Debenedetti. Con viva simpatia Giuliano Ferrara