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 2012  marzo 27 Martedì calendario

IL NUOVO EQUILIBRIO CON LA BCE E LA FIDUCIA DEL GOVERNO DI BERLINO

Dicono che quando Mario Draghi andò a trovare Angela Merkel prima di prendere le redini della Banca centrale europea, la cancelliera lo gelò con poche parole: «L’82% dei tedeschi preferirebbe non avere l’euro». L’aneddoto può essere apocrifo, ma rende perfettamente l’atmosfera del momento. Sono passati solo pochi mesi, ma allora non era affatto chiaro ai mercati se la Germania sostenesse ancora il progetto dell’unione monetaria o non più.
Sembra una storia di qualche anno fa. L’intensità degli eventi che si sono succeduti da quei giorni di ottobre non coincide affatto con una certa vulgata sull’Europa sclerotica e dai riflessi lenti. Da allora abbiamo visto, nell’ordine: un Paese del G8 come l’Italia arrivare sul punto dell’asfissia finanziaria, una profonda svolta politica a Roma, l’accordo di bilancio europeo noto come fiscal compact, mille miliardi sprigionati dalla Bce che hanno inondato il sistema bancario di liquidità. E poi: in Italia, riforme sulle pensioni, sul lavoro e sul mercato dei servizi di cui si era solo parlato per decenni. In Grecia, il più grande default di fatto della storia senza scosse sui mercati finanziari e il più grande pacchetto di aiuti di sempre votato a grande maggioranza da Bundestag. Alla fine i tassi d’interesse pagati sul debito dall’Italia sono scesi dal punto di rottura a un livello inferiore a quello di un anno fa.
Non è la storia di una crisi alle spalle, come i tremori sulla Spagna confermano in questi giorni. È una sequenza che probabilmente impegnerà in analisi approfondite gli storici negli anni a venire. Ma per il momento c’è un punto che spicca: anche se davvero il rapporto fra Draghi e Angela Merkel è iniziato ruvidamente, come si racconta, è proseguito in modo molto più costruttivo.
Niente nella straordinaria sequenza di avvenimenti degli ultimi 140 giorni sarebbe stato possibile se fra Draghi e Merkel non fosse emerso — implicitamente o meno — un accordo di fatto. Draghi era attento all’indipendenza della Banca centrale quand’era in Italia e tale è rimasto a Francoforte. Ma all’Eurotower ha portato una capacità di leggere l’interazione fra politica e mercati finanziari che forse Jean-Claude Trichet, il suo predecessore, non considerava altrettanto prioritaria. Senza rassicurare l’opinione pubblica tedesca con il fiscal compact, regole di bilancio solenni e vistose, sarebbe stato difficile far accettare in Germania l’idea che la Bce possa in soli due mesi prestare all’1% mille miliardi di euro a scadenza di ben tre anni. Senza l’idea che l’Eurotower potesse venire in soccorso dei Paesi sull’orlo della rottura, le riforme viste in Italia sarebbero state molto meno accettabili ai partiti e a certe forze sociali.
Non tutto è a posto, ovviamente. Non è affatto chiaro se l’Italia da ora in poi produrrà la crescita necessaria a rendere sostenibile il suo debito pubblico (e privato). Né è chiaro se la Bundesbank continuerà a accettare il dosaggio di politiche di Draghi, pur avendolo sostenuto nei voti decisivi in Consiglio dei governatori fino ad ora.
Ma alcune cose sono già cambiate, forse per sempre. Trichet ha retto la Bce con fermezza per otto anni, interpretando la sua indipendenza a volte sotto forma di antagonismo nei confronti dei governi. In parte la durezza del banchiere centrale francese ha preparato il terreno per la maggiore armonia di oggi: lo capiranno meglio gli storici. Ma per capire il presente, che resta molto lontano da un lieto fine, occorre partire dal nuovo equilibrio che si è creato in Europa: i suoi pilastri, consapevolmente, sono Mario Draghi e Angela Merkel.
Federico Fubini