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 2012  marzo 27 Martedì calendario

La corsa della morte del tibetano - Correva e urlava. Avvolto dalle fiamme, il viso deformato dal dolore

La corsa della morte del tibetano - Correva e urlava. Avvolto dalle fiamme, il viso deformato dal dolore. Per cinquanta metri, in mezzo alla gente, fra due ali di fotografi e cameramen che scattavano e riprendevano. Poi è crollato a terra, i vestiti già carbonizzati. Hanno cercato di soccorrerlo. Hanno gettato bandiere, e scialli, quelli del Tibet, sul corpo. Hanno spento il fuoco. Poi Janphel Yeshi, 27 anni, è stato portato su un’ambulanza, di corsa verso l’ospedale di Ram Manohar, nel centro di New Delhi. Janphel è tibetano, uno delle centinaia di migliaia di esuli che hanno scelto di fuggire in India, sulle orme del Dalai Lama. Ieri è andato alla manifestazione vicino alla sede del Parlamento nella capitale indiana. Circa seicento attivisti che si erano dati appuntamento per protestare contro la prossima visita, nel fine settimana, del presidente cinese Hu Jintao. Appena lo speaker è salito sul palco, Janphel si è avvicinato. I vestiti probabilmente erano già stati cosparsi di benzina. Un gesto e ha preso fuoco. Ora è in gravissime condizioni: «Ha il 98 per cento del corpo ustionato - hanno detto i medici -. La situazione è critica». Janphel è il secondo tibetano ha compiere l’immolazione in India. Ma nelle province cinesi del Tibet e del Sichuan sono già una ventina i monaci buddisti che dal 2011 si sono dati fuoco per protestare contro la politica di assimilazione portata avanti da Pechino dal 1951, quando il Tibet venne annesso alla Repubblica popolare di Mao. Tutte immolazioni avvenute lontano da telecamere e macchine fotografiche. Sono passate attraverso il rigidissimo controllo cinese soltanto alcune immagini, colte probabilmente con un telefonino, del gesto di una monaca, Tenzin Choedron, del monastero di Mamae Dechen di Ngaba, provincia del Sichuan, che si è uccisa nel febbraio scorso. Ma questa forma estrema di protesta per attirare l’attenzione del mondo ha suscitato l’ira del governo cinese, convinto invece che ci sia il leader tibetano dietro l’ondata di auto da fé. Ieri il sito dell’amministrazione cinese in Tibet lo ha paragonato a Hitler: «Vuole alzare un nuovo Muro di Berlino basato sulla segregazione e separazione etnica, vuole discriminare i cinesi, come Hitler fece con gli ebrei».