Ettore Livini, la Repubblica 27/3/2012, 27 marzo 2012
Madrid, la paura di perdere l´Europa – Altro giro, altra corsa. La roulette russa della speculazione, dopo aver vinto per ko la sua guerra personale contro la Grecia, si concede un bis
Madrid, la paura di perdere l´Europa – Altro giro, altra corsa. La roulette russa della speculazione, dopo aver vinto per ko la sua guerra personale contro la Grecia, si concede un bis. E questa volta punta dritta al bersaglio grosso: la Spagna. I campanelli d´allarme hanno iniziato a suonare tra gennaio e febbraio. Nei primi due mesi dell´anno la borsa di Madrid è stato il brutto anatroccolo dei listini europei, l´unico a snobbare l´euforia dei mercati per il salvataggio di Atene. Non solo: i Bonos decennali iberici - dopo un 2011 passato a guardare dall´alto in basso i cugini italiani - si sono fatti sorpassare dai Btp nel derby mediterraneo degli spread. L´Europa politica, stremata dal calvario ellenico, sperava fosse un fuoco di paglia. E invece no. La disoccupazione iberica viaggia al 23%, il Pil - asfissiato dalla cura lacrime e sangue imposta da Ue e Fmi (e siamo solo all´antipasto) - calerà quest´anno dell´1,7%. Il nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy ha rivisto al rialzo il rapporto deficit/pil dal 4,4% al 5,3%, sfidando l´ira dei falchi continentali. E la speculazione, davanti al deja vu di un copione andato in scena pari-pari sotto il Partenone, ha mangiato la foglia: sistemata la Grecia, la Spagna è il nuovo ventre molle dell´euro. Mario Monti, con una sincerità che ha mandato in fibrillazione le diplomazie continentali («da che pulpito viene la predica», si lamentavano ieri i quotidiani iberici) è andato giù piatto: «La Spagna è una fonte di preoccupazione per l´Europa», ha detto a Cernobbio. Ieri tutti hanno provato a metterci una pezza: «Io non farei dichiarazioni così», ha risposto senza alzare i toni della polemica Rajoy. «Italia e Spagna sono determinate nella sfida agli squilibri», ha gettato acqua sul fuoco il numero uno della Bce Mario Draghi. Ma tant´è. Ormai le carte sono scoperte. La Borsa iberica ha indossato ieri per l´ennesima volta la maglia nera continentale (-0,84%). Lo spread tra i Bonos e i Bund è arrivato a quota 340 punti, 32 in più dei Btp, con un rendimento del 5,34%. E a testimonianza della serietà della situazione, persino Angela Merkel è scesa in campo a favore di Madrid, annunciando che la Germania è pronta ad aumentare la potenza di fuoco del Fondo salva-Stati oltre i 500 miliardi, probabilmente a 700, regalando così una boccata d´ossigeno alle Borse. Ma perché la speculazione sembra aver deciso di accanirsi sulla Spagna e non sull´Italia? La risposta è facile: Madrid, nell´ottica cinica dei mercati, è oggi un bersaglio più debole di Roma. Durante il 2011, con l´agenda della politica italiana dettata dal Bunga-Bunga e dai processi, i ruoli erano invertiti. I mercati erano convinti che la penisola avrebbe fatto la fine della Costa Concordia e del Titanic, affondate mentre sul ponte si faceva festa. Mentre Madrid sembrava il Bengodi: il governo Zapatero, pur dimissionario, approvava l´austerity senza calcoli elettorali, tagliando pensioni, bonus bebè e stipendi statali. I Popolari di Rajoy, dati per vincitori da tutti i bookmaker nelle consultazioni (come è successo), votavano in spirito bipartisan il pareggio di bilancio in Costituzione. Morale: i Bonos, al 31 dicembre scorso, rendevano l´1,91% in meno dei Btp. Ora è cambiato tutto. Il governo Monti ha varato la riforma delle pensioni, le semplificazioni, le liberalizzazioni e le nuove norme sul lavoro. Mentre Rajoy, una volta eletto, si è mosso a scartamento ridotto: ha rivisto al rialzo dal 6 all´8,5% il rapporto deficit pil del 2011. Ha riformato con decisione il mercato del lavoro, ma ha tentennato sui tagli alle spese. Facendo saltare la mosca al naso a Bruxelles quando, subito dopo l´approvazione del fiscal compact, si è presentato all´eurogruppo annunciando unilateralmente che Madrid non avrebbe rispettato il limite nel rapporto deficit/Pil del 4,4% fissato dai trattati, auto-alzandoselo al 5,8% (noi siamo al 3,9%). La speculazione, veloce nel far di conto, ha spostato così il tiro. I nodi al pettine sono tanti: certo, il debito di Madrid non è altissimo, siamo oggi al 66% del Pil contro il 120% dell´Italia. Solo quattro anni fa però, prima dello scoppio della bolla immobiliare, viaggiava al 40% mentre le Cassandre prevedono l´assalto a quota 100%. Tagliare i costi non è facile: le 17 regioni autonome (molte governate dai popolari) che gestiscono in proprio un terzo delle spese nazionali hanno chiuso il 2011 con un deficit vicino al 3% contro l´1,3% previsto dalla Ue. E sono riottose a tagliare di più i fondi per sanità e istruzione. E ad avvelenare le acque c´è l´eredità letale della bolla del mattone: i 400 miliardi di esposizione immobiliare delle banche, i 5,6 milioni di disoccupati, le famiglie superindebitate (i mutui valgono il 190% del pil contro la media del 51% nella Ue), i 200 sfratti al giorno nella capitale. E una ricchezza privata che è la metà di quella dell´Italia. Rajoy, a pochi mesi dal plebiscito che l´ha spedito alla Moncloa, ha già finito la luna di miele con gli elettori. «Dimostreremo all´Europa che può fidarsi di noi e non alzeremo le tasse» aveva assicurato a dicembre. Due promesse che si è già rimangiato visto che l´Iva è salita dal 16 al 18%. Alle amministrative di domenica, le urne l´hanno punito. I Popolari hanno perso 400 mila voti in Andalusia dove la sinistra (che qui ha sempre governato nel dopo-Franco) rimarrà al governo. I socialisti hanno addirittura guadagnato seggi nelle Asturie, la terra di Fernando Alonso. E nei prossimi giorni il premier è atteso a un passaggio cruciale: lo sciopero generale dei sindacati di giovedì. In coincidenza con la presentazione di una finanziaria che si preannuncia lacrime e sangue. La Ue pretende che Madrid riporti il rapporto deficit/Pil al 3% entro il 2013. In soldoni, Rajoy deve trovare 55 miliardi in due anni. La strada per la Spagna è in salita. E la speculazione è in agguato a ogni curva.