Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Sono passati vent’anni dai cosiddetti «incidenti della Piazza Tien An Men» e sembra che si tratti di episodi lontanissimi nel tempo e che poco hanno a che fare con la Cina e con il mondo di oggi. A Pechino c’era una classe dirigente di cui s’è quasi persa memoria, dei vegliardi che bisognava portare sul palco a braccia…
• Mao c’era?
Era morto da tredici anni. La vera figura dominante del Paese era Deng Xiao Ping, che non aveva però cariche importanti, a parte la presidenza della Commissione militare. Con l’espressione “incidenti della Piazza Tien An Men” si intende una rivolta scoppiata nell’aprile1989 e finita in giugno, che ebbe il suo culmine a metà maggio, con l’occupazione della grande piazza di Pechino. In certi giorni fino a un milione di persone. Il mondo ricorda quella ribellione capitanata dagli studenti universitari soprattutto grazie a un episodio clamoroso: a mezzogiorno del 5 giugno una fila di carri armati si presentò all’imbocco della piazza, preparandosi ad occuparla. La notte tra il 3 e il 4, i soldati avevano sparato sulla folla ammazzando tra le cinquecento e le tremila persone. Non sembrava più possibile nessuna resistenza. Ma un ragazzo che aveva appena fatto la spesa e stringeva in ogni mano una busta di plastica si mise davanti al primo carro armato della fila e gli impedì di proseguire. Quello girò il muso verso destra, e il ragazzo balzò a destra, agitando il sacchetto che teneva nella mano destra. Allora il carro provò a girare a sinistra e, allo stesso modo, il ragazzo balzò a sinistra, opponendoglisi con il solo corpo e con il sacchetto che impugnava a sinistra. Le autorità cinesi tenevano la stampa a distanza, ma Jeff Widener, fotografo dell’Associated Press, stava al sesto piano del suo albergo e si sporgeva dalla finestra che guardava sulla piazza. Scattava foto su foto e all’inizio aveva persino imprecato contro quello studente che gli impediva di riprender bene la fila dei carri armati. Le sue foto fecero poi il giro del mondo. Dello studente nessuno conosce il nome, nessuno sa che fine abbia fatto.
• Come cominciò la rivolta?
Era morto un uomo politico di nome Hu Yaobang, che nel 1987, da segretario del partito, aveva appoggiato le rivolte studentesche e per questo era stato allontanato. Gli studenti delle due università cittadine scesero in piazza per onorarne la memoria e restarono giorni e giorni a manifestare, senza dar segno di voler smettere. Dai vegliardi che governavano il Paese, nessuna reazione: sembravano scomparsi. Bisogna ricordare che in Russia era salito al potere Michail Gorbaciov e che tutto il mondo comunista era scosso dalle prime avvisaglie della crisi finale. Gorbaciov era già avanti nella demolizione del vecchio regime sovietico condotta attraverso due parole che tutto spiegavano e promettevano: perestrojka e glasnost, cioè «ricostruzione » e «trasparenza». Di lì a poco sarebbe stato abbattuto il muro di Berlino e sarebbero venuti giù i vecchi regimi in Ungheria, Bulgaria, Romania. Ancora pochi anni e la Cecoslovacchia si sarebbe divisa, la Jugoslavia sarebbe esplosa. I capi cinesi avevano paura. Ma gli studenti sapevano che il 20 maggio sarebbe arrivato a Pechino lo stesso Gorbaciov, per ricucire il trentennale strappo con la dirigenza cinese. Uno spettacolo che gli stessi cinesi volevano mostrare a tutto il mondo. Il mondo vide invece anche questo milione di giovani, uomini e donne, che stavano sulla piazza a protestare contro la corruzione dei dirigenti e l’arretratezza del Paese.
• Perché il regime non si aprì già allora?
Proprio la crisi internazionale del comunismo convinse i capi cinesi ad adottare il pugno di ferro. Ne andava della loro stessa sopravvivenza. Fu stabilita la legge marziale, un provvedimento che in passato era stato preso una sola volta, a Lhasa, al tempo della rivolta dei tibetani.
• Quanta gente venne ammazzata?
I cinesi non hanno mai fornito una loro versione ufficiale dei fatti del 4 giugno 1989. Ci sono stime diverse: forse cinquecento persone forse tremila. Parlo dei cadaveri lasciati sulla piazza quando all’esercito fu dato l’ordine di sparare sulla folla. Ci sono poi i morti successivi, quelli processati e condannati per aver preso parte o capitanato la rivolta. Con questi, si potrebbe arrivare a cinquemila.
• La Cina oggi sarebbe diversa se il governo avesse reagito in altro modo alla rivolta degli studenti?
Chi può saperlo? Il Paese cresceva già allora a un ritmo del 10 per cento l’anno. Deng – la mente della carneficina – fu poi quello che negli anni Novanta aprì il Paese al mercato e mise le basi per fare della Cina la potenza mondiale che è oggi. La politica ha poco a che fare con la morale e la prosperità è tante volte l’ultimo effetto di una sequenza di orrori. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 1/6/2009]
(leggi)