Giovanni Bianconi, Corriere della sera 1/6/2009, 1 giugno 2009
LA STRAGE DI VIA D’AMELIO E IL NUOVO PENTITO L’ANTIMAFIA INDAGA SULLA VERITA’ DI SPATUZZA
Frizioni tra il superprocuratore Grasso e Caltanissetta sull’incarico alla Boccassini
ROMA – un pentito ancora in mezzo al guado Gaspare Spatuzza, l’ex «uomo d’onore» del quartiere palermitano di Brancaccio che disegna nuovi scenari dietro la strage di via D’Amelio, in cui morì Paolo Borsellino, e altri delitti di mafia. Un collaboratore in parte credibile e in parte no. Così ritiene la Procura di Caltanissetta, ancora alla ricerca dei «mandanti occulti» degli eccidi del ”92, che s’è comunque dichiarata d’accordo a inserire Spatuzza (il quale riempie verbali d’interrogatorio ormai da undici mesi) nello speciale programma di protezione richiesto per lui da un altro ufficio inquirente, quello di Firenze, titolare delle indagini sulle stragi mafiose del ”93.
«Gli accertamenti fin qui svolti hanno consentito di trovare significativi elementi di riscontro rispetto a una parte delle dichiarazioni dello Spatuzza», ha scritto il procuratore nisseno Sergio Lari nel parere inviato al superprocuratore nazionale antimafia Piero Grasso. In particolare sul furto della Fiat 126 di cui l’aspirante pentito si autoaccusa, riempita di tritolo e utilizzata per far saltare in aria Borsellino e i cinque agenti della sua scorta, il 19 luglio 1992; e tra i riscontri c’è la ritrattazione di colui che all’epoca confessò di aver rubato la macchina, Salvatore Candura, il quale lancia oggi «pesanti accuse nei confronti di alcuni esponenti della polizia di stato, a suo dire responsabili di averlo indotto a dichiarare il falso».
Accanto ai riscontri positivi, però, ci sono quelli negativi su altre affermazioni di Spatuzza: dalle perizie che non hanno evidenziato tracce di esplosivo in alcuni locali indicati dall’ex mafioso a un lanciamissili che non si trova, dalla mancata individuazione di alcuni soggetti alle «imprecise dichiarazioni inerenti il momento storico in cui ebbe affidato l’incarico, su mandato del capo mandamento di Brancaccio Giuseppe Graviano, di procurare una autovettura Fiat».
Infine, nota il procuratore Lari, «le dichiarazioni sul ruolo di possibili mandanti esterni sembrano essere troppo generiche e non in grado di fornire utili sviluppi alle indagini». Tuttavia, ai già numerosi accertamenti svolti ne dovranno seguire altri ed è innegabile che Spatuzza, detenuto in regime di carcerazione ordinario, sia «in condizione di grave e attuale pericolo rispetto all’ambiente criminale di provenienza ».
Massima protezione, dunque, in attesa di decidere se promuoverlo collaboratore di giustizia a pieno titolo, oppure no. Anche perché, se avesse ragione lui rispetto all’estraneità di una parte della Cupola mafiosa alla decisione di uccidere Borsellino a meno di due mesi dall’eliminazione di Falcone, «si aprirebbero inquietanti interrogativi sulle cause, ragioni e modalità della diversa ricostruzione» consacrata da sentenze definitive che andrebbero riviste. La strage di via D’Amelio infatti, ricorda Lari, è «un evento delittuoso che ha segnato la storia d’Italia», con «numerosi aspetti oscuri e interrogativi irrisolti, in relazione ai quali questa Procura sta ancora svolgendo delicatissime indagini».
Proprio per dare un aiuto a quel «delicatissimo » lavoro – e in considerazione delle carenze d’organico in cui si trova l’ufficio siciliano, con la metà di sostituti in servizio rispetto a quelli previsti – da Roma il procuratore nazionale Grasso ha fatto una proposta: applicare all’inchiesta Ilda Boccassini, pubblico ministero appena nominato procuratore aggiunto di Milano, che già lavorò a Caltanissetta dal ”92 al ”94, all’indomani delle stragi. E che, prima di lasciare quella città, manifestò forti dubbi sull’attendibilità del pentito Scarantino, la cui versione dei fatti venne invece presa per buona da altri magistrati e oggi è smentita dalle dichiarazioni di Spatuzza. Nella sua lettera Grasso ricorda la «esperienza diretta» acquisita dalla Boccassini in materia, e la sua specifica competenza sulle dinamiche mafiose. Ma da Caltanissetta hanno contrapposto l’inopportunità di un simile passo, giacché alla Boccassini è stata recapitata una convocazione in veste di testimone: vogliono interrogarla sulle ragioni dei dubbi espressi su Scarantino 15 anni fa e – al pari di altri inquirenti dell’epoca – sulle modalità delle indagini svolte allora. Un primo appuntamento è saltato per impegni di lavoro del pm milanese, un altro è stato fissato per i prossimi giorni.
Al di là delle esigenze processuali la convocazione della Boccassini, quasi contestuale alla proposta di applicazione, fa intendere che la Procura di Caltanissetta ritiene di poter andare avanti nell’indagine senza il soccorso di un magistrato di indubbia e riconosciuta professionalità, che concluse con successo il primo procedimento sulla strage di Capaci. E che, proprio a partire dalle rivelazioni di Spatuzza, ha avviato una nuova inchiesta sull’autobomba mafiosa che nel luglio ”93 uccise cinque persone a Milano. L’idea di Grasso e l’implicita risposta negativa confermano tuttavia come intorno alle dichiarazioni del neo-pentito di Brancaccio, e a ciò che esse comportano nella rilettura della strategia terroristica nel biennio ”92-’93, non ci sia identità di vedute e unità d’intenti.
Sullo sfondo di queste divisioni ci sono le dichiarazioni di un altro pentito, Giovanni Brusca, che pure sono all’origine di qualche fibrillazione. L’uomo che fece saltare in aria l’autostrada Palermo-Punta Raisi per uccidere Giovanni Falcone ha svelato ai magistrati di Caltanissetta il nome (fattogli da Toto Riina, dice) dell’«uomo delle istituzioni con il quale venne avviata la trattativa con Cosa Nostra», al tempo delle stragi. Prima di lui Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo morto nel 2002, aveva riferito di aver saputo che l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino era stato informato, su richiesta di suo padre, della trattativa avviata da «uomini delle istituzioni» con Cosa Nostra per interrompere la catena di bombe mafiose. Mancino, oggi vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, ha presentato un esposto-denuncia alle Procure di Palermo e Caltanissetta per «tutelarsi » dalle dichiarazioni di Ciancimino jr. e negando ogni coinvolgimento nella vicenda.