Guido Olimpio, Corriere della Sera, 1/6/2009, 1 giugno 2009
TALEBANI, LA NUOVA RETE MONDIALE DEI FINANZIAMENTI
WASHINGTON – I controlli sul finanziamento del terrore esistono, le leggi pure ma è difficile provare il reato. E dunque diverse formazioni hanno continuato a ricevere denaro ma sono diventate scaltre nel nascondere le tracce e a diversificare le fonti.
In Europa
I militanti di origine nordafricana si autofinanziano con il crimine. Spaccio di stupefacenti, traffici legali e illegali di vetture, racket dei documenti falsi, piccoli commerci. Una specialità è quella delle false griffe: borse, scarpe da ginnastica, capi di abbigliamento taroccati. Merci acquistate dai cinesi e poi rivendute sulle bancarelle. Non si tratta di un tesoro, ma i simpatizzanti della Jihad sono parsimoniosi e spartani. Bastano poche centinaia di euro per alimentare la causa. Soldi con i quali permettono ai mujahidin di raggiungere il teatro iracheno e aiutano i loro compagni che agiscono in Algeria.
In Iraq
Gli insorti hanno «fonti» dirette e indirette. Le prime sono rappresentate da taglieggiamenti, sequestri di persona, contrabbando, mercato nero delle armi e del petrolio. Le seconde sono garantite da rimesse che arrivano da cittadini iracheni residenti in Siria e simpatizzanti che vivono nei Paesi del Golfo Persico. Se la ribellione persiste è merito anche del flusso continuo di risorse.
In Afghanistan e Pakistan
Nello scacchiere ribattezzato Af-Pak (Afghanistan- Pakistan) la droga garantisce al movimento talebano notevoli risorse, stimate dai 150 ai 300 milioni di euro. Ma negli ultimi due anni, i militanti si sono dedicati con profitto al contrabbando di legno, marmo e smeraldi. Proprio nella regione pachistana di Swat, al centro dei furiosi scontri di queste settimane, c’è la centrale del traffico di pietre preziose. Le gemme seguono un percorso ben organizzato: prima tappa Jaipur in India, quindi Bangkok (Thailandia), Svizzera e Israele, dove sono tagliate e poi rimesse sul mercato. In alcune zone i talebani hanno ottenuto la collaborazione della popolazione locale in cambio di buone percentuali. Un asse solido nelle regioni tribali dove, a cadenze mensili, si svolgono assemblee alle quali sono invitati commercianti legati ad alcuni clan. Ognuno offre una quota destinata ai mujahidin e si impegna a raccogliere risorse. Alcuni – i più importanti – garantiscono altre risorse operando all’estero. Gli Emirati Arabi (specie Dubai) sono la piattaforma preferita: qui, gli imprenditori amici dei talebani riservano una quota per i guerriglieri e favoriscono collette tra i nababbi del Golfo. Quasi sempre si tratta di soldi in contanti e pertanto è difficile ricostruire l’origine o il percorso. Non diverso è quanto avviene con i terroristi indiani. Organizzazioni mafiose che hanno basi sempre nel Golfo, uomini d’affari e società di copertura alimentano gruppuscoli di varia ispirazione. E l’inchiesta sulla strage di Mumbai (novembre 2008), compiuta da separatisti del Kashmir basati in Pakistan, ha fatto emergere dettagli interessanti su come siano stati finanziati. Dollari sono arrivati da un imprenditore arabo d’origine indiana basato in Oman e legato al mondo integralista. Spese sono state sostenute grazie a piccole rimesse di complici itineranti, alcuni dei quali operanti a Brescia e città della Spagna. Parliamo di somme modeste che, tuttavia, messe insieme hanno permesso di risolvere problemi logistici anche minimi, come l’acquisto di schede telefoniche «pulite ».
L’insieme dei casi citati testimonia l’abilità di molte organizzazioni terroristiche. Anche con risorse contenute sono in grado di fare danni e superare muniti apparati di difesa. Chi ha le casse piene – ad esempio i talebani – è invece in grado di mantenere una pressione più lunga alimentando una vera guerriglia. Il segreto è quello di creare un apparato parallelo, non strettamente collegato al movimento e magari impegnato in imprese commerciali assolutamente legali. Un perfetto paravento per continuare a finanziare la violenza ed evitare un’eventuale condanna in tribunale.