Giuseppe Turani, Affari & Finanza, 1/6/2009, 1 giugno 2009
E IL "CASSETTISTA" PIANGE IN BORSA
Le Borse di tutto il mondo sono dei soggetti ingannevoli e anche molto maligni. quasi impossibile, cioè, capire che cosa faranno. E questo è ovvio perché altrimenti saremmo tutti ricchissimi senza alcun sforzo. Ma, anche sapendo che le cose stanno così, bisogna fare un paio di precisazioni. L’incomprensibilità dei listini diventa massima quando ci sono momenti di grande instabilità (come quelli che stiamo vivendo). Inoltre, fra tutte le Borse c’è l’eccezione di quella italiana, che è un animale molto particolare.
Ma cominciamo con le stranezze dei listini. Stiamo vivendo, e questo è noto a tutti, una stagione di grandi preoccupazioni sulla sorte delle varie economie e delle singole aziende, ma se uno poi va a vedere l’andamento dei listini, rimane un po’ di sasso. Persino la Borsa italiana, che non è proprio in cima ai pensieri dei grandi investitori internazionali, da metà marzo alla fine di maggio (in due mesi e mezzo, 70 giorni), ha messo insieme un aumento generale di oltre il 56 per cento. E risulta essere, fra le maggiori piazze, quella che si è comportata meglio.
Ma anche le altre hanno fatto, grosso modo nello stesso periodo di tempo, qualche buona scintilla. Parigi è salita di oltre il 30 per cento. Il Dax di Francoforte ha messo insieme una crescita di quasi il 32 per cento. New York ha sfiorato il 38 per cento. Tokyo, la cui economia sta andando giù come un mattone, ha fatto segnare comunque una crescita di oltre il 27 per cento, sempre nel giro di appena due mesi e mezzo, da marzo a oggi.
In sostanza, se esiste un luogo in cui sembra che la crisi sia già finita, e da un pezzo, questo luogo è rappresentato dalle piazze finanziarie. E dire che questa Grande Crisi era cominciata proprio come una crisi finanziaria. Sembra di capire che la crisi finanziaria si è scaricata sull’economia reale, che infatti se la sta passando malissimo ovunque, dopo di che la Finanza si è messa di nuovo a macinare le sue trame e a far lievitare i listini.
In realtà, tutto ciò è vero, con una sola messa a punto. Se il momento più duro (con i listini al minimo) si colloca nel 2009 fra l’inizio e la metà del mese di marzo, in realtà il vero momento di panico (per la Finanza) va collocato a metà del settembre 2008 (data di inizio, secondo molti, della Grande Crisi), quando cioè va in fallimento la Lehman Brothers, grande banca d’affari americana. da quel momento, dal verificarsi di un evento che molti avrebbero detto nonpossibile, che sui mercati scatta la paura.
Ebbene, se andiamo a misurare i listini di adesso, con quelli di metà settembre del 2008, ci accorgiamo che mediamente sono ancora sotto del 2025 per cento, nonostante i fortissimi recuperi che ho indicato prima. Come mai? Si tratta di uno scherzo della matematica. Se un listino sta a 100 e perde il 50 per cento, va a quota 50. Se da quella posizione poi recupera il 50 per cento (pari e patta?) in realtà non torna a quota 100, ma si ferma a quota 75. E questo è quello che è successo alle nostre Borse in questi ultimi seisette mesi.
Rimane ancora da segnalare, per quelli che amano giocare in Borsa, che comunque nell’ultimo periodo (i famosi due mesi e mezzo che ci separano dalla metà di marzo) nella Borsa italiana ci sono stati dei soggetti straordinari, da farci una piccola fortuna (a averlo saputo prima). Le Gemina rnc, ad esempio, sono andate su di quasi il 200 per cento (il che significa che il loro valore è triplicato). Le Risanamento si sono portate a casa un 150 per cento di aumento. Eurofly più del 120 per cento. Tutta roba non notissima e magari un po’ trascurata dagli operatori e dai risparmiatori, ma i rialzi sono lì da vedere. E, in ogni caso, sono una ventina i titoli che da marzo a oggi hanno messo insieme più del 40 per cento di crescita.
vero che in mezzo a questi titoli non ci sono i grandi nomi del listino, ma le cose comunque non sono andate poi malissimo nemmeno per gli altri, visto che Piazza Affari, mediamente, è andata su di oltre il 56 per cento.
Ma allora hanno ragione quelli che dicono che in Borsa, persino in quella italiana, si possono fare tanti soldi, anche quando c’è crisi, come oggi?
Sì e no. Mediobanca ha appena pubblicato un immenso studio sulla Borsa italiana dal 1928 ai giorni nostri (90 anni di listino!) e la conclusione a cui è arrivata non è così allegra. Vi si dice, prima di tutto, che il cassettista, quello che compra i titoli per dormire sonni tranquilli e per assicurarsi una buona vecchiaia, di solito si trova con il sedere per terra. I tecnici di Mediobanca hanno preso il listino del 1928 e l’hanno seguito fino ai giorni nostri, facendo l’ipotesi che uno non abbia reinvestito i dividendi via via incassati (ma che li abbia spesi per procurarsi una certa qualità dell’esistenza). Ebbene, quel signore (che immaginiamo vecchissimo), oggi si ritroverebbe con appena il 15 per cento del suo capitate iniziale (in termini reali). Sarebbe cioè, tecnicamente, un povero.
Se invece quell’antico investitore, gennaio 1928, avesse sempre reinvestito tutti i dividendi incassati, oggi avrebbe un capitale pari a un po’ del doppio di allora e potrebbe dormire sonni abbastanza tranquilli. Ma è evidente che questo è un caso molto estremo.
Ci si può chiedere perché la Borsa italiana, vista nel lungo periodo smentisca il modo così clamoroso l’idea che la gente ha, e cioè che i titoli azionari "proteggono il capitale".
La spiegazione, purtroppo, è molto semplice. Si tratta di un ragionamento sulla qualità dei titoli quotati. In piazza Affari è accaduto che quasi tutti i titoli della "fondazione" (dell’industria italiana), e cioè la Montecatini, la Edison, l’Olivetti, i siderurgici, ecc., sono stati di fatto distrutti da vicende molto complesse e che spesso hanno occupato per decenni le cronache finanziarie. Quello che negli anni 3040, ma anche fino agli anni Sessanta, era il "nocciolo duro" dell’industria e della finanza italiana è stato spazzato via, come se su di esso si fosse abbattuto un immenso tsunami. E i cassettisti hanno seguito la stessa sorte.
Poi sono arrivati, ad arricchire un listino pieno di cadaveri e di titoli un po’ improbabili i titoli energetici (Enel, Eni, ecc.) e l’insieme ha assunto un aspetto più presentabile e più stabile. Al punto che oggi uno potrebbe anche arrischiarsi a fare il cassettista (se di notte non viene perseguitato dai fantasmi dei vecchi cassettisti finiti in malora).
In ogni caso la Borsa italiana è molto abituata a vivere momenti di entusiasmo ai quali seguono momenti di depressione profonda (uno psichiatra direbbe che soffre di un disturbo bipolare, su e giù). Per questo, bisogna stare molto attenti. Solo dal 1945 a oggi Mediobanca ha calcolato cinque periodi di grandissima euforia con rialzi superiori al 50, ma anche al 100 per cento, e altrettanti periodi di depressione profonda, con ribassi che stanno fra il 50 e il 70 per cento.
Per avventurarsi in un mercato del genere non basta la tuta da surfista oceanico, forse ci vuole anche uno scafandro da palombaro. Al punto che, viste tutte le tabelle e i grafici di Mediobanca, viene in mente una sola tecnica operativa per chi vuole giocarsi i propri soldi nella Borsa italiana. E cioè: comperare quando si è in depressione e la roba vale poco, vendere quando si guadagna qualcosa e usare i soldi così incassati per comperare dei solidi e buoni titoli di Stato. Dopo di che, si va ai giardinetti con il cane, e si aspetta, pazientemente, il prossimo crollo. A quel punto, si vende tutto e si ricomprano titoli quotati sul listino. Questo gioco, dentro e fuori, vi potrà capitare di giocarlo almeno quattrocinque volte nel corso della vita. E magari potreste anche arricchirvi. Difficile che possiate diventare un Bill Gates, ma non finirete in miseria. L’importante è non fare i cassettisti, non comprare i titoli per poi dimenticarsene. Insomma, non dite mai a vostra moglie: "Questi sono per i nostri ragazzi, quando saranno maggiorenni". Perché, a quel punto, potrebbe anche non esserci più niente. Insomma, dentro e fuori. Sempre.