Varie, 1 giugno 2009
CALCIO PER VOCE ARANCIO
DIVARI 2,3 a 1,2: è il risultato, in miliardi di euro di ricavi, della sfida calcistica tra la Premier League inglese e la serie A italiana (fonte l’Annual review of Football Finance 2008 di Deloitte). Letti questi numeri, si capisce perché il primo luglio 2010 dovrebbe nascere la ”Lega calcio serie A”, varata dai più importanti club italiani sul modello britannico. Superati alcuni passaggi procedurali (il più importante dei quali è il commissariamento della vecchia Lega di serie A e B), tra le società della nostra massima serie e quelle relegate nella serie cadetta si aprirà un divario ancora più grande dell’attuale: quando la separazione è diventata ufficiale, Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, ha parlato di giornata «storica», Mario Moroni, vicepresidente del Lecce all’epoca già indirizzato verso la retrocessione, ha parlato di giornata «molto triste».
BILANCI Secondo i bilanci della stagione 2007/2008, poco meno della metà (8/20) delle società di serie A avevano perso soldi: Inter (148 milioni di euro), Milan (32), Juventus (21), Siena (4,6), Palermo (4,2), Fiorentina (4,7), Sampdoria (3,3), Parma (0,4). Tutte le altre avevano chiuso in utile: Lazio (13,8), Napoli (11,9), Udinese (7,9), Torino (3,9), Livorno (3,4), Atalanta (3,2), Cagliari (2,7), Reggina (1,9), Empoli (1,7), Genoa (1,5), Catania (1,1), Roma (0,3).
SISTEMI Aggregare i dati aiuta a capire meglio i termini della questione: se leviamo le tre grandi (Inter, Milan e Juve, che hanno alle spalle le ricchissime famiglie Moratti, Berlusconi e Agnelli), il resto della serie A aveva chiuso con un saldo positivo di 29 milioni. Nella stessa stagione, l’intera B contava perdite per 37 milioni. Spiegava Gianfranco Andreoletti, presidente dell’Albinoleffe: «Da noi o si schiera la primavera o i costi diventano insostenibili. Stiamo confrontando due sistemi opposti: uno alla canna del gas, l’altro con grandi risorse».
RETROCESSIONI Col vecchio format A+B, tra i due campionati c’era un travaso di risorse che andava a tappare i buchi. Ad esempio, attraverso la cessione del 10% dei diritti tv. La prossima stagione, ultima con questo sistema, arriveranno 77 milioni di euro. Dal 2010/2011 le cose andranno però diversamente e se si pensa che nel quinquennio 2010-2015 le società di A contano di incassare dalle tv (la principale fonte di sostentamento del nostro calcio) 900 milioni di euro, si capisce la portata dei tagli. evidente che col nuovo regime, visto dagli ottimisti come «la fine dell’assistenzialismo», le retrocessioni diventeranno ancora più costose e per questo ci sarebbe il progetto di ridurle da tre a due. Già adesso finire in B significa perdere un sacco di soldi: il Lecce, per esempio, dovrebbe rimetterci secondo una stima della Gazzetta del Mezzogiorno 18-20 milioni di euro, in primo luogo per la contrazione dei ricavi, che si calcola possa raggiungere i due terzi.
TELEVISIONE In caso di retrocessione, la prima voce a ridursi è quella dei diritti tv: l’anno scorso il Lecce ha incassato 16 milioni mentre le 22 società di B se ne sono divisi 7 (fanno poco più di 300mila euro a squadra); le sponsorizzazioni potrebbero più che dimezzarsi, dai 2,5 milioni di euro di quest’anno a un milione; fortissimo anche il calo degli incassi allo stadio: quest’anno hanno fruttato 4 milioni di euro, nell’ultimo campionato di B dei salentini arrivarono a 1,7 milioni, nel caso la squadra non dovesse lottare per la promozione si potrebbe finire sotto il milione e mezzo. Alle squadre retrocesse nel 2008/2009 è garantito un paracadute di 7,5 milioni di euro (a patto di aver partecipato agli ultimi tre campionati della massima serie, come nel caso della Reggina), dalla stagione 2010/2011 questi soldi non dovrebbero più arrivare.
STADI La nascente ”Lega calcio serie A” s’è affidata a un manager esterno, l’ex d.g di Confindustria Maurizio Beretta: autodefinitosi «un implementatore di venti ottimi imprenditori», avrà il compito di riuscire ad ottenere agevolazioni fiscali e contributi per la costruzione di stadi di proprietà. Questo punto è particolarmente importante: nei principali campionati europei i ricavi da stadio arrivano al 35% del totale, in Italia non si supera il 15%. Forte di impianti gioiello, la Bundesliga tedesca ha una media di 40.000 spettatori a partita, quasi il doppio che da noi. Un’analisi della StageUp Sport & Leisure pubblicata nello scorso settembre fissava il tasso di riempimento medio degli stadi di serie A al 53% contro il 92% della Premier League (dove i biglietti costano il 35% più che da noi), l’84% della Bundesliga, l’80% della Ligue 1 (Francia), il 76% della Liga (Spagna).
SPETTATORI Detto che nell’ultimo campionato l’affluenza nei nostri stadi ha manifestato una certa ripresa, è evidente che oltre che ai reiterati episodi di violenza, il più basso numero medio di spettatori registrato nel nostro campionato è dovuto all’arretratezza degli impianti: da noi hanno un’età media di 67 anni contro i 46 di quelli tedeschi e spagnoli; quelli della Premier League sono ancora più vecchi (72 anni) ma nell’ultimo ventennio hanno beneficiato di importanti ristrutturazioni. Proprio la Premier, fondata nel 1992, è il modello che hanno in mente i sostenitori della ”Lega calcio serie A”. Il sistema inglese, considerato il più solido e il meglio organizzato, ha una esemplare struttura di gestione e marketing: i club hanno stadi di proprietà che riempiono tutte le settimane; gli introiti sono equilibrati e ben distribuiti tra diritti tv, botteghino, merchandising; i club più importanti (Manchester United, Liverpool, Chelsea, Arsenal) si impongono da anni anche sul campo e dominano la Champions League (anche se nell’ultima stagione hanno dovuto lasciare la coppa al Barcellona).
DEBITI Se si guardano i numeri nel dettaglio, però, la situazione economica della Premier League non è poi così solida: una recente ricerca compiuta da una commissione parlamentare inglese ha concluso che senza una profonda riforma il sistema rischia di crollare sotto il peso dei debiti, 2,79 miliardi di euro di cui 1,1 miliardi nei confronti dei proprietari dei club. Per avere un termine di paragone, si tenga a mente che nel 2008/2009 i debiti delle nostre 20 società di serie A ammontavano a circa 300 milioni di euro, meno di un terzo di quanto dovuto dal Manchester United, che ha un’esposizione di quasi un miliardo.
SALARI Il problema della Premier League è che due terzi degli introiti finiscono nelle tasche dei calciatori. Il monte salari cresce ogni anno del 12%. Risultato: l’utile operativo medio dei club del più importante campionato inglese si ferma al 6% contro il 18% dei club tedeschi. In media gli stipendi dei calciatori costituiscono l’80-85 per cento delle spese. Karlheinz Rummenigge, amministratore delegato del Bayern Monaco, s’è lamentato per la difficoltà di competere con avversari che si comportano in modo economicamente così sconsiderato: «Bisogna fare in modo che gli stipendi non superino il 50 per cento degli introiti globali». Molti propongono un ”salary cap” all’americana, ma Rummenigge è scettico: «L’Unione europea non lascerebbe passare un tetto agli onorari, libera concorrenza in libera busta paga, ma salary o non salary qualcosa va fatto».
PREMIER LEAGUE «Il livello di indebitamento delle 20 società è bilanciato dalle entrate-record, e dallo straordinario livello di popolarità della Premier nel mondo», dicono gli ottimisti come Richard Scudamore, amministratore delegato della Premier League. I pessimisti ribattono che finché i debiti vengono coperti dagli americani Malcolm Glazer (Manchester United), Tom Hicks e George Gillett (Liverpool) e dal russo Roman Abramovich (Chelsea), il sistema sta in piedi, ma sarebbe meglio cominciare a preoccuparsi di quello che potrebbe succedere nel momento in cui si stufassero. Nel dettaglio: i debiti del Chelsea sono quasi tutti a carico di Abramovich, i debiti dell’Arsenal sono quasi interamente legati alla costruzione del mega-stadio di Ashburton Grove, Liverpool e Manchester United hanno debiti verso le banche contratti per l’acquisto del club stesso (è quello che i tecnici chiamano leveraged buy-out).
INCASSI Alla fine, per dare un’aggiustata ai conti, i grandi club della Premier League trovano un contributo fondamentale nei premi incassati grazie ai successi in Champions League, che dal 1992 hanno superato i cinque miliardi e mezzo di euro. L’Uefa garantisce alle squadre qualificate 3 milioni più 2,4 milioni a chi approda alla fase a gironi superando i preliminari. Ogni vittoria nella fase a gironi vale 600 mila euro, il pareggio 300 mila, la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta vale un bonus di 9,4 milioni. Andando avanti, si incassano 2,5 milioni per la qualificazione ai quarti, 3 milioni per semifinale, 4 milioni per la finale, 7 milioni per il successo nella competizione.
FINALI La finale di Champions League giocata a Roma il 27 maggio ha visto di fronte i due club più indebitati d’Europa: il Manchester United (960 milioni di euro), contro il Barcellona (440). Un recente studio di StageUp-Sport & Leisure Business spiega che nella stagione 2008/2009 il Manchester United ha speso per rinforzare la squadra 47,5 milioni di euro contro i 42,9 milioni incassati dalla Uefa per il successo dell’edizione 2007/2008; il Barcellona ne ha spesi 41,1 e ne ha incassati poco più di 42 per la vittoria nella coppa 2008/2009.
TITULI Una ricerca condotta da Simon Chadwick, professore di marketing e strategia dello sport business all’università inglese di Coventry, calcola che l’indotto totale della conquista della ”coppa dalle grandi orecchie” il prossimo anno frutterà al Barcellona incassi extra per 110 milioni di euro (aumenteranno sponsorizzazioni, diritti televisivi, vendite di biglietti e merchandising), mentre il beneficio del Manchester è stimato in 65 milioni. Poiché questi soldi con ogni probabilità serviranno soprattutto per comprare nuovi giocatori e aumentare gli ingaggi, è chiaro che per queste società una stagione ”zero tituli” sarebbe particolarmente disastrosa.