Glauco Maggi, La Stampa 1/6/2009, 1 giugno 2009
Due categorie di fondi, alle estremità della scala del rischio, simboleggiano a fine maggio le due tendenze più marcate che stanno maturando sulle Borse nell’attuale scenario economico globale di recessione lunga (dura da un anno e mezzo)
Due categorie di fondi, alle estremità della scala del rischio, simboleggiano a fine maggio le due tendenze più marcate che stanno maturando sulle Borse nell’attuale scenario economico globale di recessione lunga (dura da un anno e mezzo). Si tratta delle famiglie dei fondi azionari specializzati nei Paesi Emergenti, che vivono un momento molto positivo, e dei fondi governativi a medio-lungo termine in dollari Usa, che viceversa sono in rosso nel corso del 2009. Obbligazionari governativi Usa in dollari. La categoria registra per ora un risultato molto buono su un anno, pari al +15,24%, ma è viceversa sotto del 2,47% dal primo gennaio e del 6,18% da sei mesi fa. Il debito degli Stati Uniti ha ancora il massimo rating, pur dopo le voci su un futuro possibile declassamento (e giovedì l’agenzia Moody’s ha confermato la tripla A per Washington): gli investitori interni e internazionali, però, sono atterriti dalle dimensioni del debito pubblico Usa e temono che il diluvio di bond che il Tesoro sta riversando sui mercati per finanziare lo stimolo ultramiliardario di Obama attizzi una fiammata inflazionistica e faccia decollare i tassi dei mutui e dei prestiti alle imprese, tarpando la ripresa economica e ostacolando l’uscita dalla recessione. Anche se la Fed ha azzerato i tassi del dollaro, il prezzo dei bond pubblici, che va in direzione opposta al loro rendimento, negli ultimi giorni è così crollato, colpendo per l’appunto i portafogli obbligazionari in dollari. Fino a quando le prospettive di alta inflazione non rientreranno, e se il pubblico (governo cinese in testa) volterà le spalle ai bond federali, il loro prezzo continuerà a scendere, e con esso la performance dei fondi che hanno questi titoli. E sulla performance dei fondi in euro incide anche la ragione di cambio: nelle ultime settimane il dollaro si è indebolito verso l’euro. Azionari Paesi Emergenti. Il trend di questa famiglia di fondi è ribaltato rispetto a un anno fa: sui 12 mesi si registra una perdita media del 25,83%, mentre da sei mesi c’è un incremento speculare del 24,97%, che sale al 25,50% dal primo gennaio. In misura inferiore, ma sulla stessa lunghezza d’onda, si può notare pure la tendenza degli azionari dell’area del Pacifico, che (Giappone a parte) contano varie economie asiatiche in sovrapposizione con quelle raggruppate negli emergenti: perdono in media il 23,9% sui 12 mesi, ma guadagnano il 9,84% da inizio gennaio e l’11,28% su sei mesi. John Praveen, stratega per gli investimenti globali della finanziaria Prudential, in un rapporto di fine maggio ha scritto che le aree sovrappesate nel suo portafoglio azionario sono quelle dei mercati emergenti e la borsa di Londra, mentre l’Eurozona e il Giappone sono sottopesate e Wall Street è stata degradata da sovrappeso a "neutrale". Anche la Schroders, secondo l’analisi del suo capo azionario per i Paesi Emergenti, Allan Conway, giudica questo settore preferibile a tutti gli altri, sia pure in un contesto di recessione ancora molto pesante. Conway non crede che l’ottimismo degli investitori, che ha provocato il rally dei prezzi dai minimi di inizio marzo su tutte le borse, sia giustificato: anzi, lo definisce infondato e chiama i recuperi un «rally da mercato Orso». Ma sui Paese Emergenti il giudizio è diverso: «Negli anni recenti le economie in via di sviluppo hanno corso in media a un tasso più alto del 4%-5% rispetto al mondo sviluppato - ha scritto - e ci si può aspettare che ciò continui per il prevedibile futuro».