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 2009  giugno 01 Lunedì calendario

Arte, la copia è meglio dell’originale - Peter Greenaway: se Bernini avesse avuto photoshop, avrebbe mostrato Dio - Iniziato illuminando una Ronda (quella di Rem­brandt), il programma di spettacolarizzazione critica dei capolavori della storia dell’arte che sta realizzando Peter Greenaway è tale da far invidia a Hugh Grant: comprende due matrimoni, tre «funerali» e un’Ultima Cena

Arte, la copia è meglio dell’originale - Peter Greenaway: se Bernini avesse avuto photoshop, avrebbe mostrato Dio - Iniziato illuminando una Ronda (quella di Rem­brandt), il programma di spettacolarizzazione critica dei capolavori della storia dell’arte che sta realizzando Peter Greenaway è tale da far invidia a Hugh Grant: comprende due matrimoni, tre «funerali» e un’Ultima Cena. Uno dei matrimoni è quello che Greenaway «illuminerà» dal 6 giugno nel cenacolo palladiano della Fondazione Cini sul­l’Isola di San Giorgio a Venezia: ovvero la copia clo­nata delle Nozze di Cana di Veronese. L’incontro con Veronese avvenne nel 1989 quan­do Greenaway utilizzò La cena in casa Levi come ri­ferimento per l’ambientazione del film Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, grottesca satira storica sui vizi contemporanei. Ma quando dall’uso dell’arte nel cinema Greenaway è passato all’uso di cinema e photoshop sull’arte qualche critica gli è stata mossa: desacralizza l’arte e depotenzia l’originale. «Per duemila anni – racconta Greenaway – i pit­tori hanno condizionato la maniera in cui vediamo il mondo, il nostro modo di osservare il paesaggio, le città, il nudo, il colore, l’individuo, le folle, il pri­mo piano, la natura morta, i cadaveri... I pittori sono stati i soli che ci hanno addestrati alla visione fino all’avvento della fotografia e del cinema, che ci han­no fornito una conoscenza di mondi che l’occhio non può vedere. Così come l’hanno fornita il micro­scopio, il telescopio, l’infrarosso, l’ultravioletto e la termografia che ci ha consentito di vedere nel buio. Ora possiamo capire immagini e pittori meglio di prima». Ma la clonazione degli originali, come ha fatto Adam Lowe con le Nozze di Cana (l’originale è al Louvre) e la successiva spettacolarizzazione critica della copia, non rischia anche di spostare l’arte dal campo della cultura materiale a quello dell’immate­riale? «Io sto creando dei dialoghi con delle opere che sono anche un esercizio educativo per sapere di più di questi dipinti attraverso moderni processi vi­suali. Si diceva che la fotografia avrebbe ucciso la pit­tura. Ripensandoci, invece, è stata la cosa migliore che potesse succedere: da un lato, liberando la pittu­ra dal documentarismo, ha fatto esplodere l’Impres­sionismo, il Cubismo, il Minimalismo e l’Espressio­nismo astratto fino a Jeff Koons e Andy Warhol; dal­­l’altro, ha fatto deflagrare i miti sulla figura del pitto­re rivisitando la sua posizione di veggente, guru, ostetrico degli angeli. Il vocabolario post-fotografi­co e visuale che usiamo per osservare questi dipinti ci consente di guardarli in modo nuovo: si smitizza l’opera e si aiuta a capire quale tipo di conoscenza e immaginazione gli artisti hanno elaborato per fare questi capolavori». Liberare l’arte da un culto sacrale dell’originale non è una novità: lo ha teorizzato Benjamin nel 1936, prospettando l’avvento di un’arte tecnicamen­te riproducibile, come il design. Ma pensava di «libe­rare » le nuove creazioni, non quelle del passato... «Sin dall’invenzione della fotografia dovremmo es­serci appropriati dell’idea di riproduzione di massa dell’immagine. Altrimenti non dovremmo chiederci dove sia, ad esempio, l’originale di Via col Vento? Tuttavia anche coloro che sono legati a un’idea di aura dell’opera dovrebbero essere soddisfatti del no­stro lavoro, perché eternalizziamo l’oggetto collo­candolo in uno spazio spirituale. Oggi si può affer­mare, quasi senza ironia, che un’immagine ben ri­prodotta può essere meglio dell’originale. Ogni arti­sta vuole essere visto e dobbiamo considerare che la maggior parte delle persone sono analfabeti dal pun­to di vista visivo, perché il cinema ha sviluppato una educazione media». In conseguenza, il lavoro sulla copia aiuterebbe. Ma l’«originale» non ha solo un valore estetico (per il quale la copia può essere «meglio»), ma an­che il crisma di testimonianza di un’invenzione fissa­ta su un supporto materiale... «Forse l’arte è stata troppo imprigionata nella definizione di ’cultura materiale’. La pittura religiosa, ad esempio, ha cerca­to di catturare lo spirituale, e con le tecniche con­temporanee potrebbe ottenere la sua apoteosi. Ma ora che abbiamo i mezzi per ’vedere’ Dio, non ne abbiamo più l’inclinazione! Il Crivelli dipingeva con delle strisce per fare le aureole. Che artista sarebbe stato Bernini se avesse avuto a disposizione l’elettri­cità e photoshop! Forse, avrebbe avuto mezzi per mostrarci Dio? Lui aveva certamente l’inclinazione». Difendere l’originale è la premessa per lavorare sull’originale. Un’arte senza materia sembra quanto di più spiritualistico ci sia, sembra di tornare a Croce, a un’arte che sta nell’intui­zione e la cui realizzazione non è necessaria. «Siamo delle persone profonda­mente fisiche e questo è molto piacevole. Io stesso sono stato educato come un pittore e mi piace spor­carmi le mani. E anche nel­la mia mente ho un’idea di oggetto più perfetta della sua materializzazione, non smetto di provare a materia­lizzarla ». Meglio lavorare al fianco di Rembrandt, Leonardo o Veronese? «Ogni avventura deve essere pertinente al di­pinto. Rembrandt è reputa­to un pittore di luce artifi­ciale. E il cinema è il mezzo che manipola la luce artifi­ciale. Dunque l’esercizio su Rembrandt era pertinente. Il lavoro sull’Ultima Cena si è concentrato sui rapporti tra spazio e oggetti del dipinto. Questo nuovo lavoro su Veronese enfatizza l’interazione tra i personaggi del dipinto, relazionan­doli al suono. Abbiamo creato un dialogo tra 126 di­versi caratteri. La luce artificiale, il dispiegare uno spazio a tre dimensioni in un mezzo a due dimensio­ni e una sofisticata colonna sonora sono caratteristi­che cinematografiche che si ritrovano in questo lavo­ro. Cerchiamo un’unità di scopo tra ottomila anni di pittura e 114 di cinema». Chi sarà il prossimo? «Stiamo lavorando sugli ulti­mi tre dipinti molto lugubri di Caravaggio e svilup­piamo idee per Lo sposalizio della Vergine di Raffael­lo a Brera. Tutto sommato potremmo dire che il no­stro progetto prevede due matrimoni, tre funerali e un’Ultima Cena ».