Giancarlo Dotto, La stampa 1/6/2009, 1 giugno 2009
«IL MONDO E’ SESSO E VIOLENZA»
Mutevole (e incantevole) è la donna sopra ogni cosa. Quella che va su e giù a piedi nudi e abiti casual nell’acquitrino del terrazzo di casa è la stessa, giuro, che solo pochi giorni fa posava in tacchi alti e lungo Armani sul tappeto rosso della Croisette. La stessa che si orienta esperta tra le pappine e i pannolini di Nicola che, se potesse, canterebbe a gola piena «Mamma son tanto felice», come Luciano Tajoli, ma ha solo sette mesi e i primi dentini che spuntano e soffrono, anche perché non capiscono la crudeltà del non ritrovarsi più di colpo a mordere la tetta della felicità. Mamma Asia ha finito di allattare. «Al citofono suoni Civetta. Michele Civetta, mio marito». Lo dice, «mio marito», con il piacere di dirlo.
Incontrare Asia è come indossare un occhiale prismatico. La scomponi in decine di frammenti, ma alla fine è sempre lei. Una ragazza samurai con i suoi codici d’onore e i suoi atti di fede. Reduce da Cannes, a 34 anni, la sua passione militante è oggi la maternità. Ha chiuso per sempre i conti con certo passato selvaggio e caricaturale, l’immagine più marcita che marcia della bad girl che infilava le dita in tutte le marmellate proibite del mondo, appena in tempo, prima di diventare la dark lady e tutto il catalogo dello scandalo da manuale. Per la prima volta, Asia sta bene nella sua pelle. Al punto di farsi scorticare i tatuaggi in cui più non si riconosce. Il laser fa male. La carne che brucia puzza. La felicità è anche questa.
Devo chiamarla signora Civetta?
«Oh sì, mi piace molto».
Ha fatto un fioretto, come le brave bambine: non svelo i segreti della giuria di Cannes.
«C’era questa tradizione del giorno dopo, tra gli italiani in giuria: incontravano i giornalisti e giù a spifferare tutto, pettegolezzi e retroscena. Ho voluto spezzare questo impudicizia dell’italiano spione. Parlerò solo dei film che abbiamo premiato».
Magari si potrebbe svelare di criteri estetici e non di quanto vi siete presi per i capelli.
«Conta il risultato. Il resto è indecenza. Sarebbe come sbirciare mamma e papà che copulano. Ti basti l’esito, il figlio che mettono al mondo. Quello che succede prima deve restare un segreto».
E se gli altri otto della giuria spifferano?
«Sono affari loro. I più intelligenti faranno come me».
Si è insinuato di una giuria litigiosa, al limite della rissa.
«Falso. Non sempre c’e stata unanimità, ma sempre ci siamo confrontati pacificamente, dentro discussioni istruttive e appassionate. Si parlava e poi si votava. Voto segreto, nel secchiello per il ghiaccio. Dopo di che, vinca il migliore...».
Ha vinto il migliore? Isabelle Huppert ha manifestato tutto il suo entusiasmo per «Il nastro bianco», la Palma d’Oro.
«Un capolavoro. Il film di Haneke racconta senza compiacimenti l’origine della violenza in un contesto riconoscibile. Va a stanarla con il suo sguardo d’autore, là dove è più dissimulata».
Fischiato e spernacchiato Lars Von Trier.
«Un film considerato misogino, in realtà più compreso dalle donne che dagli uomini. Il tema della violenza ha dominato quest’anno. Violenza e sesso. Una violenza efferata, gratuita e un sesso disgustoso, senza nessuna concessione romantica. Cannes è come sempre lo specchio di dove va il mondo».
Dove va il mondo?
«Non lo so, io vivo nella mia area protetta, con le persone che amo. So solo che, tornando da Cannes, ho imparato la lezione: come regista non voglio mai più girare scene di violenza e sesso. Se questo è il mondo, bisogna proporre altro».
Sarà Obama a salvarlo questo mondo?
«Ho sognato che mi corteggiava e mi spediva mazzi di fiori. La notte in cui è stato eletto ho pianto per la commozione. Lui sì, è un vero socialista».
Cinque donne su nove in giuria a Cannes. La prevalenza del femminile ha condizionato le scelte?
«Posso dirle solo che noi donne abbiamo capito e premiato la splendida interpretazione di Charlotte Gainsbourg».
Isabelle Huppert presidente.
«Di questa splendida esperienza a Cannes la cosa più eccitante era lo starle vicino. Una donna per niente fredda come la dipingono, un’intelligenza sopraffina. Anni fa le scrissi una lettera di stima e amore. Con grande pudore, al momento del saluto, mi ha ringraziato per quella lettera».
Adeguata nel ruolo?
«Isabelle è una cinefila. Il suo è uno sguardo affilato. Vedeva cose che nemmeno i registi vedevano. Abbiamo votato alla fine i film meno amati dalla critica. La sera della premiazione di Brillante Mendoza, il regista filippino, dalla sala accanto arrivavano le bordate di fischi della critica. Buon segno, abbiamo pensato, vuol dire che siamo nel giusto».
Quello di «Inglorious Bastards», il Tarantino migliore?
«Non l’abbiamo premiato e non posso dire altro. Però, abbiamo premiato Christopher Waltz. Grande interpretazione».
Non sarà stato felice Brad Pitt.
«Non lo trovo né bello né bravo».
La maternità è oggi al centro della sua vita.
«Mi occupo giorno e notte dei miei figli. Nicola me lo sono portato anche a Cannes. E’ bellissimo, che Dio lo benedica. Anna ha sette anni ed è dolcissima, che Dio la benedica. La maternità è una svolta, ti fa uscire fuori di te. Amare solo se stessi è tristissimo».
«Che dio lo benedica». Non lo sentivo da anni.
«Lo dicono le nonne: bisogna dire "Dio lo benedica" ogni volta che si dice di un figlio che è bello e bravo».
La seconda maternità ha chiuso il cerchio del continente Asia, ex ragazza incontinente?
«Mi ha completata l’unione con mio marito. Una persona con cui il dialogo è continuo. Che mi ha portato fuori dalle voci della mia testa».
Fa strano sentirla dire «mio marito».
«Pensavo non potesse riguardarmi questa espressione e invece c’è, è reale. Talmente reale che mi piace sentirmela dire».
Nel frattempo Morgan è diventato una star televisiva. Asia dice spesso che la televisione è il demonio. Lo dice ancora?
«Lui, si vede, è molto felice di essere lì e io sono felice per lui. A lui piace giudicare, piace essere al centro dell’attenzione e la musica è il suo sacro recinto».
Una di quelle storie che non finiscono mai anche quando finiscono.
«E’ finita. Lui ne parla più di me, ma anch’io ho sofferto l’incredibile. Nel frattempo, ho capito tre, quattro cose fondamentali».
Ce ne dica una.
«Che devo preservarmi, perché sono una creatura fragile e qualunque cosa può ferirmi. Prima tendevo a testare i miei limiti. Oggi li ho capiti, non m’interessa più sfidarli».
Quando si è sentita davvero in pericolo?
«Qualche anno fa. Avevo esagerato con il lavoro e la solitudine. Quella era la ragazza del sottoscala, solitaria ma studiosa, sempre alla ricerca e con tanto rumore in testa. Oggi voglio la luce e le persone care attorno. La storia della ragazza maledetta era una camicia stretta, non ne uscivo fuori. Ne ho dette, all’epoca, di spiritose cazzate».
A 14 anni era sdraiata sul lettino dell’analista, quando le sue coetanee si sdraiavano su quello dell’estetista.
«Ero curiosa di sapere chi fossi. Sentivo che c’era qualcosa che non funzionava in me».
L’ha visto il suo amico Abel Ferrara da Chiambretti, felicemente sbronzo?
«Piero è simpatico, mi piace, è intelligente».
La domanda era su Abel.
«Pensavo fosse un maestro, non lo era. Non è rimasto niente. Ne ho avuto tanti di maestri cattivi. Ho santificato persone che non mi hanno dato ma anzi tolto. Detto questo, il suo cinema resta unico, geniale».
Si diverte da qualche tempo in radio.
«Su Lifegate. E’ il mio hobby, la mia scappatoia. Parto da un tema, le streghe, Gesù, i sintetizzatori, la musica elettronica degli anni anni 50, e lo sviluppo in parole e musica. Ci perdo un sacco di tempo a cercare brani rarissimi che do in pasto al mondo. E’ il mio vizio onanistico».
«Ingannevole il cuore sopra ogni cosa», il suo film da regista ma anche il suo smacco. La beffa di J.T.Leroy, il falso scrittore.
«Fossi stata meno ebete, l’avrei capito dal titolo che c’era il trucco. Mi vergogno un po’ di esserci caduta. Mi appassionava la storia di quel bambino della sua innocenza rubata. Alla fine, ho tirato un sospiro di sollievo. E’ stato un trauma, mi ha segnato molto, ma mi ha insegnato a non fidarmi più di nessuno».
Il cinema italiano non la cerca.
«Ho polemizzato anche duramente quando avevo ambizioni d’attrice. Ora non le ho più».
Qualcosa di rimarchevole da segnalare?
«Mi ha entusiasmato "Gomorra", il più bel film italiano degli ultimi dieci anni. Non è andato agli Oscar? E’ la conferma che vale. Negli ultimi venticinque anni non c’è un film di qualità che abbia vinto l’Oscar».
Nonno Dario e nonna Daria?
«Mio padre vive per il suo lavoro, ma è presente, si occupa di noi. Certo non lo vedrete mai da nonno col passeggino al parco. Mia madre mi ha insegnato come si dialoga con i bambini. E’ lei il mio migliore amico, il mio punto fermo. Senza di lei sarei perduta».
La sua giornata tipo?
«Sveglia alle sette, vesto Anna per scuola, preparo il brodo per Nicola e lavoro un paio d’ore. Sto scrivendo la sceneggiatura di un romanzo giapponese, "Il fucile da caccia", che sarà la mia prossima regia. Poi la pappa di mezzogiorno. A seguire, il pisolino. Un’oretta abbracciata al bimbo. Poi i compiti con Anna, la merenda, il bagnino, la ginnastica. Cucino per tutti e poi a nanna. Io e Michele ci vediamo un film meraviglioso, dieci minuti, il tempo di sprofondare. Nicola di questi tempi si sveglia spesso la notte».
Commovente.
«Una signora del palazzo mi ha detto ieri: ma cara Asia non ce l’ha qualche valvola di sfogo? Ma chi la vuole la valvola di sfogo. Io sto benissimo così».