Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Non si deve credere a quanto dirà o scriverà qualcuno stamattina e cioè che la faccenda Alitalia è a posto, domani arrivano gli emiri, martedì ci sarà una gran festa, e ormai è questione solo di dettagli.
• Non è così?Non è così. Il ministro Lupi ha trattato fino a ieri, aveva alla fine spedito un ultimatum secondo il quale si doveva chiudere ieri mattina alle 11, ieri sera, al momento della messa in onda dei telegiornali, s’è saputo che era stata raggiunta un’intesa che Cisl, Uil e Ugl sono pronti a sottoscrivere, mentre la Cgil ha chiesto tre giorni di tempo per pensarci. L’ultimatum non ha spaventato nessuno. Nel frattempo però, se stiamo alle dichiarazioni dei vertici di Etihad, questa settimana bisognerà rispondere sì o no, e nel caso sia no i libri vanno portati di corsa in tribunale e i 13 mila dipendenti possono considerarsi licenziati in blocco, perché il bilancio 2013 della compagnia è il peggiore della sua storia, peggiore persino di quelli che presentavano gli ineffabili amministratori dell’era in cui Alitalia era pubblica.
• Come è fatto l’accordo con i sindacati, per lo meno quello che sono pronti a firmare Cisl, Uil e Ugl?
Gli esuberi, come richiesto dagli emiri, saranno 2.251. 661 saranno ricollocati «nel perimetro aziendale», 681 «esternalizzati entro il 31 dicembre 2014», l’altro migliaio andrà in mobilità (forse preceduta da un breve periodo di cassa integrazione) e, durante il periodo della mobilità, sperimenterà una nuova formula detta “contratto di ricollocamento”: in pratica i due ministeri coinvolti (Lavoro e Infrastrutture) insieme con la Regione e l’Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) creeranno una sorta di agenzia di collocamento che si occuperà di trovare un posto a tutti i lavoratori tagliati. È possibile (molto possibile) che questi posti saltino fuori da aziende pubbliche, e che quindi finiscano per pesare sulla fiscalità generale, cioè su tutti noi. Non è un punto che ai sindacati interessi troppo. In generale, sfugge ai politici e ai sindacalisti il pochissimo senso di solidarietà e di simpatia che i cittadini italiani provano per i lavoratori Alitalia, gente che con le sue pretese mirabolanti ci ha fatto disperare per una cinquantina d’anni e che, al momento della soluzione cosiddetta dei “capitani coraggiosi” (2008), ha avuto trattamenti d’oro.
• Perché questo accordo non garantisce ancora l’ingresso degli emiri?
Gli emiri, prima di mettere nell’azienda i 560 milioni concordati (con i quali si compreranno il 49% della compagnia), vogliono garanzie assolute su tre punti: la riduzione del personale di 2.251 unità e non ci siamo ancora perché la Cgil deve studiare le carte (basterebbe un ulteriore rinvio o un no della Camusso per far tornare gli arabi a casa, e sbattendo la porta); poi ci vuole la disponibilità delle banche a trasformare in azioni i 565 milioni di debito residuo (qui non ci sono problemi, anche se gli istituti mugugnano parecchio); infine c’è da aggirare lo scoglio dell’Unione europea, e qui la partita è incerta.
• Di che si tratta?
Lufthansa, British Airway e Air France temono lo sbarco in Europa di un concorrente come Etihad, potente e pieno di soldi. Hanno quindi presentato ricorso all’Unione europea sostenendo che l’ingresso delle Poste e i successivi accordi stipulati da Alitalia grazie a questa partnership sono da considerarsi aiuti di stato. In un primo momento, Bruxelles aveva bocciato questa interpretazione, ma poi ha chiesto a noi tutta una serie di documenti sostenendo che le informazioni inviate in merito dalle autorità italiane erano insufficienti «e ci sono profili da chiarire». Mi domando se anche questa ennesima opera di salvataggio del personale non sia da configurarsi come aiuto di Stato.
• Come si presenta questo bilancio Alitalia di cui diceva all’inizio?
Nel 2013 la compagnia ha perso 568,6 milioni, il doppio di quanto aveva perso nel 2012. Il patrimonio netto è negativo per 27,17 milioni. Questo nonostante l’iniezione di 300 milioni dello scorso dicembre. Sto citando il Sole 24 Ore, perché la compagnia, fatto senza precedenti, ha tenuto nascosto il bilancio, anzi il «progetto di bilancio», peraltro approvato dal consiglio d’amministrazione del 13 giugno. Nei cinque anni di gestione dei cosiddetti «capitani coraggiosi» (coraggiosissimi, visti i numeri), Alitalia ha perso un miliardo e 526 milioni, alla media di 25 milioni al mese. La vecchia Alitalia pubblica viaggiava a una perdita media di 20,83 milioni al mese. Se si considera anche Air One (che con l’arrivo degli emiri chiuderà), la perdita di fatturato rispetto ai tempi in cui la compagnia era pubblica è di un miliardo e 700 milioni.
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