Lea Mattarella, la Repubblica 13/7/2014, 13 luglio 2014
ANAPOLI
RROTOLARE
srotolare: si chiama così la bellissima mostra di Francis Alÿs aperta al Madre fino al 22 settembre, curata da Andrea Viliani e Eugenio Viola. Ancora una volta il museo napoletano centra l’obiettivo con il racconto afghano di questo grande artista, nato in Belgio nel 1959 e a Città del Messico dal 1986. Uno che fa delle cose semplici: cammina, passeggia, attraversa. E tutte le volte il termometro poetico dei suoi incontri con il mondo è così elevato che sembra di trovarsi in un
nuovo capitolo della Winterreise di Schubert. Dal 2010 al 2014 è stato spesso in Afghanistan. Qui ha disegnato, dipinto, fotografato, realizzato video, scritto, raccolto materiale come cartoline, documenti, mappe, biglietti. Questo bagaglio di immagini e di segni compone i suoi “progetti afghani” esposti per la prima volta tutti insieme.
Nella grande sala del piano terra ci si incanta davanti al film che dà il titolo alla mostra, girato per l’ultima edizione di Documenta e dedicato agli abitanti di Kabul. Alÿs, prima di portarlo a Kassel, lo ha fatto vedere nella città in cui è stato girato, per regalare alla comunità il ritratto dei suoi bambini. Così come li ha visti lui, con quello sguardo capace di documentare
e narrare, di fare poesia e politica, perché a lui riesce chissà come di tenere insieme le due cose solitamente inconciliabili. I manifesti di quella serata del 19 giugno 2012 sono il primo atto di questo cammino nel segno dell’emozione.
Nel film c’è un ragazzino con un abito bianco che attraversa Kabul srotolando la bobina di un film. Gliene corre dietro un altro vestito di nero che con caparbia pazienza la riarrotola. Uno disperde, l’altro aggiusta, raccoglie, sistema. Intorno c’è la città: un paesaggio prevalentemente terroso che ogni tanto si accende dei colori delle vesti delle bambine sorridenti, dei mercati, dei tappeti su cui si prega. E c’è la vita: donne con il burqa, un campo da calcio con i
bambini tra copertoni abbandonati e spazzatura. Alla fine la bobina, dopo esser passata attraverso un piccolo falò improvvisato, si spezza. Ma il piccolo inseguitore è riuscito a salvarne una parte consistente. E infatti guarda il paesaggio e sorride. Ce l’ha fatta. Dopo, nei titoli di coda, Alÿs ci ricorda che il 5 settembre del 2001 i talebani hanno bruciato centinaia di bobine cinematografiche dando origine a un fuoco che pare sia durato ben 15 giorni. Non si erano accorti però che molte erano copie e non originali ancora riproducibili. Ma l’opera di Alÿs funzionerebbe anche senza il collegamento con questo gesto di distruzione inutile e insensato. Ogni strada intrapresa da questo artista-viandante
ha un significato ben più ampio della storia che abbiamo davanti. Come quando, nel video del 1997, trasporta un grande blocco di ghiaccio che si scioglie per le strade di Città del Messipo’
co, o in quello del 2004 colora, lasciando cadere della vernice verde da una latta, la linea dei confini di Isreale dopo la guerra contro gli arabi nel 1948. I due video sono in mostra. Ed è un
come se qui si ragionasse anche sul senso della scultura e della pittura.
I “progetti afghani” sono allestiti in maniera impeccabile al secondo piano del museo: i piccoli dipinti a parete, il resto — disegni, foto, appunti — su dei tavoli intorno ai quali è possibile sedersi. Alÿs si muove come un pittore di guerra, o come un giornalista partito con l’intento di rispondere alle domande che troviamo scritte su alcuni quadretti nella prima sala: why, what, where, when, how. L’ouverture del percorso è una cartina del mondo dove, nel posto occupato dall’Afghanistan, Alÿs ha dipinto le bande colorate di un monoscopio che servono a verificare la qualità delle immagini di un televisore. Ha immaginato un tragico parallelo tra Kassel e Kabul, entrambe vittime di bombardamenti, e per entrare in Afghanistan con gli occhi aperti ha pensato a un momento dell’esistenza di alcuni grandi artisti nel 1943. Ecco parte del suo elenco di testimoni lontani: Morandi che dipinge in cima a una collina accerchiata dai nazisti, Beuys che sorvola la Crimea al comando di uno Stuka, Matisse che “dipinge con le forbici” sulla riviera francese… Con loro a fianco Alÿs ha afferrato la bellezza dimenticata e inaspettata, tra gli elicotteri e le armi, dei gesti dei bambini concentrati a tenere in equilibrio una ruota con un bastone, fare un girotondo, far volare un aquilone. Ogni tanto il solito monoscopio arriva a “restituire un’immagine cieca”, come spiega Viliani. E alla fine capisci quant’è difficile vedere. Lo sapevi già, certo, ma troppe volte te ne sei dimenticato.