Corriere della Sera, 1 ottobre 2013, 13 luglio 2014
Tags : García Márquez e l’Alzheimer
Come stai? E lui mostra il dito medio
Corriere della Sera, 1 ottobre 2013
È riapparso in pubblico, ma forse avremmo preferito che fosse rimasto in quell’ombra che negli ultimi tempi aveva suscitato voci e ipotesi mai ufficialmente confermate, a volte smentite: Gabriel García Márquez non scriverà più, la seconda parte della sua autobiografia, Vivere per raccontarla, non uscirà mai, l’Alzheimer, o qualcos’altro, si sta mangiando la memoria del grande raccontatore.
Non si è mai capito che cosa ci fosse di vero in questo. Però ne aveva accennato il fratello Jaime. Il suo amico di una vita, Plinio Apuleyo Mendoza, l’aveva raccontato in un libro tradotto in Italia da Anordest, Quegli anni con Gabo, che partiva dall’inizio, dall’incontro in un caffè di Bogotá nel 1947. Domenica scorsa Gabo, 87 anni, è ricomparso a Città del Messico, non alla presentazione di un libro, non a un dibattito culturale ma all’inaugurazione di un bowling progettato dall’amico architetto Daniel Feldman, nel quartiere di Santa Fe. Completo grigio e camicia celeste, senza cravatta, il premio Nobel è arrivato con la moglie Mercedes, si è trattenuto per due ore con gli invitati, ha mangiato un piatto di spinaci e bevuto un bicchiere di vino, alle domande sulla sua salute ha risposto sorridente mostrando il dito medio.
La Jornada, quotidiano messicano, l’ha definito «contento, lucido e forte», ma quello sguardo un po’ allucinato, il volto smagrito, la mano deformata con il dito teso mettono un po’ tristezza. Gabo è tornato, ma non riusciamo a rallegrarcene.
È riapparso in pubblico, ma forse avremmo preferito che fosse rimasto in quell’ombra che negli ultimi tempi aveva suscitato voci e ipotesi mai ufficialmente confermate, a volte smentite: Gabriel García Márquez non scriverà più, la seconda parte della sua autobiografia, Vivere per raccontarla, non uscirà mai, l’Alzheimer, o qualcos’altro, si sta mangiando la memoria del grande raccontatore.
Non si è mai capito che cosa ci fosse di vero in questo. Però ne aveva accennato il fratello Jaime. Il suo amico di una vita, Plinio Apuleyo Mendoza, l’aveva raccontato in un libro tradotto in Italia da Anordest, Quegli anni con Gabo, che partiva dall’inizio, dall’incontro in un caffè di Bogotá nel 1947. Domenica scorsa Gabo, 87 anni, è ricomparso a Città del Messico, non alla presentazione di un libro, non a un dibattito culturale ma all’inaugurazione di un bowling progettato dall’amico architetto Daniel Feldman, nel quartiere di Santa Fe. Completo grigio e camicia celeste, senza cravatta, il premio Nobel è arrivato con la moglie Mercedes, si è trattenuto per due ore con gli invitati, ha mangiato un piatto di spinaci e bevuto un bicchiere di vino, alle domande sulla sua salute ha risposto sorridente mostrando il dito medio.
La Jornada, quotidiano messicano, l’ha definito «contento, lucido e forte», ma quello sguardo un po’ allucinato, il volto smagrito, la mano deformata con il dito teso mettono un po’ tristezza. Gabo è tornato, ma non riusciamo a rallegrarcene.
Cristina Taglietti