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 2014  luglio 13 Domenica calendario

MICHELE SMARGIASSI

LIBERI DI NON CREDERCI ,
ma per i primi quarant’anni ai carabinieri fu proibito portare i baffi. Sì, anche quei baffi a manubrio, imperiosi come l’ordine costituito, che nel nostro album di figurine mentali appartengono all’uniforme del carabiniere tanto quanto le bande scarlatte ai pantaloni. Per dire questo: che la storia dell’Arma è una cosa, ma la figura del carabiniere, icona del nostro immaginario nazionalpopolare, è un’altra; e provate voi a capire quale delle due è la più vera e operativa.
Due secoli fedele. Il 13 luglio 1814, firmando di suo pugno le Regie Patenti, Vittorio Emanuele I istituì il Corpo dei Carabinieri Reali onde «assicurare viemaggiormente il buon ordine» al restaurato Regno di Sardegna, che pure non sembrava aver bisogno dell’ennesimo corpo di polizia, la creatività repressiva dei suoi sovrani avendone già prodotti una decina. Ma serviva qualcosa, un segno che marcasse lo stacco con le «passate disgustose vicende » rivoluzionarie. Poco conta che il modello organizzativo fosse la Gendarmerie francese, o che i primi reclutati avessero già militato nelle polizie napoleoniche. I carabinieri furono il primissimo parto della Restaurazione, un parto simbolico.
UN’ICONA DINASTICA.
Un manifesto dell’autorità. «Lo Stato è il carabiniere », declamò Silvio Spaventa. Eppure, i carabinieri sono stati molto di più di questo. Ben presto uscirono dalle caserme del potere per traslocare nelle baracche della fantasia popolare. Dove si trovarono a svolgere «incumbenze» immateriali che nessun Re poteva prevedere. Dove sono stati amati, detestati, sfottuti e idolatrati. Dove hanno vissuto un’avventura antropologica. Il carabiniere dell’immaginario nazionale, anzitutto, non esiste come entità singola. La sua unità minima è la coppia. I carabinieri vanno due a due come le ciliegie, sono la legge in versione duale, in formula binaria, in assetto speculare. Lo spazio fra due carabinieri, dove il padron ‘Ntoni di Verga si sentì «legato come un Cristo», è una prigione ambulante, è lo spazio foucaultiano del sorvegliare e punire, circoscrive ed esibisce “lo splendore della pena”. Ed è propizio al pentimento: «Una spina acutissima» bucò il cuore di Pinocchio tratto in arresto, ossia «il pensiero di dover passare sotto le finestre di casa della sua buona Fata in mezzo ai carabinieri. Avrebbe preferito piuttosto di morire». Nelle incisioni di Carlo Chiostri o di Attilio Mussino per il libro di Collodi, i carabinieri sono dioscuri enormi e neri, gemelli perfino nel volto. Per forza: i regolamenti dell’Arma non prescrivevano uniformità solo alle bandoliere e alle mostrine, ma anche alle espressioni facciali, che dovevano essere «composte e severe», sorrisi pochi, perché dovendo scegliere tra farsi amare o temere, valeva la seconda. Il portamento, l’espressione, l’andatura, tutto era sotto controllo. Prima di interpretare il maresciallo Carotenuto in Pane amore e fantasia, Vittorio De Sica frequentò
ufficiali dell’Arma per imitarne la mimica d’ordinanza, la modulazione della voce, il modo di infilare il tovagliolo fra i bottoni della camicia.
Messaggio: sotto la divisa (cioè sempre, perché il carabiniere è sempre in servizio) non c’è un individuo, ma un’istituzione. In un’epoca senza mass media, il profilo mantellato e pennacchiato del carabiniere fu l’unica immagine dello Stato che raggiungesse i borghi più sperduti. Accasermati, radicati: ma non integrati. L’accento meridionale di tante macchiette da film (quanti film sui carabinieri, fin dai tempi del muto) più che sfottò razzista era intuizione di una voluta alterità. Il maresciallo, notabile del paese come il parroco e il farmacista, era conosciuto da tutti e amico di nessuno: sconsigliato fraternizzare con il compaesano che magari, un giorno, avrebbe dovuto “tradurre in ceppi”. Tuttavia, niente da fare: se il carabiniere è chiuso nella sua araldica, il folclore se lo prende lo stesso. Caruba, caramba, griba, piumàss : nella sua storia dell’Arma, Gianni Oliva fa la conta dei nomignoli dialettali. Quel girovagare incessante, per dovere regolamentare di «far marce, giri, corse e pattuglie», primo vero esperimento di controllo capillare del territorio, li rendeva elementi del paesaggio, profili così familiari da finire ossessivamente nei dipinti del Fattori, il tricorno in testa, riconoscibile come la silhouette del campanile del paese.
C’è stato, fra l’Italia e la Benemerita, come un gioco a rimpiattino tra affetto e timore, ammirazione e derisione, quale forse non è toccato a nessun’altra istituzione. In cima alle classifiche di rispetto e fiducia, bersagliati di sarcasmo: non c’è contraddizione. Le barzellette sui carabinieri se le raccontano i carabinieri stessi, forse ci riconoscono un confuso omaggio a radici sociali profonde. Figli del popolo — un figlio prete e uno carabiniere — dovevano saper «almeno leggere e scrivere» ed era già tanto. In qualche modo questo paese ha intuito nel carabiniere una struttura della propria identità nazionale. La banda dei carabinieri portava festa, e il grido «chiamo i carabinieri!» funzionava come le invocazioni ai santi. Il carabiniere ha “bucato” la crosta dell’inconscio collettivo, nel bene e nel male, diventando un’icona pop multiforme, dalle cartoline ai calendari alle canzoni alle tavole di Beltrame ai fumetti ai videogame ai serial tv, dove il Maresciallo Rocca ebbe il volto sornione di Gigi Proietti. Tra tutti i volti dello Stato repressore, solo quello del carabiniere ha saputo ispirare sensazioni di umanità anche nei suoi antipatizzanti. «Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri», ma quelli di Fabrizio De André accompagnarono «malvolentieri
» Bocca di Rosa al primo treno, e nella versione censurata della canzone se non fossero stati in alta uniforme sarebbero addirittura «venuti meno al loro dovere». Gli Skiantos di Roberto Freak Antoni, rocker ribelle del ‘77 bolognese, swingavano un Karabignere blues beffardo ma venato di vaga simpatia: «Quando poi arrivo a Pisa / io mi godo la Luisa / vado fuori a far la spesa / poi mi tolgo la divisa che mi pesa». Ed è un carabiniere l’umanissimo “ladro di bambini” del film di Gianni Amelio.
Sono stati, certo, “guardiani del potere”, come li classifica il generale Fabio Mini, storico militare. Un caso pressoché unico al mondo di intreccio strettissimo fra un’istituzione militare e la società civile. Possente la mitografia, gli eroi giusti al momento giusto, il martire Salvo D’Acquisto nella transizione fra regime e democrazia, il martire Carlo Alberto Dalla Chiesa nella lotta al terrorismo e alla mafia. I carabinieri sono passati attraverso i cerchi di fuoco della storia di questi due secoli italiani, scottandosi il meno possibile, sopravvivendo a poteri più forti di loro, al crollo vergognoso dei loro stessi creatori (la monarchia sabauda) e dei loro sospettosi antagonisti (il fascismo e le sue milizie), a pagine sanguinose della storia nazionale come la repressione del brigantaggio meridionale o l’impresa coloniale, ma anche a epopee da romanzo popolare come la lunga, sanguinosa caccia al bandito Giuliano (ottanta carabinieri uccisi dalla sua banda). Sfiorati ma mai travolti dalle trame e dalle strategie della tensione della fragile Repubblica. Messi da parte dal potere che per un po’ preferì i “cugini” eterni rivali, i poliziotti (l’Italia di Scelba esiliò i carabinieri in provincia, per la repressione antioperaia preferì i celerini), tornarono in scena con determinazione e una certa abilità mediatica (i reparti speciali come i Ris di Parma, versione nostrana di Csi, o quelli che ritrovano i dipinti rubati e controllano le sofisticazioni alimentari sono amati dai telegiornali).
“Nei secoli fedele”, dice il motto ufficiale coniato dall’oscuro capitano Cenisio Fusi che nel 1933 sostituì “usi a obbedir tacendo e tacendo morir”, firmato dal poeta Costantino Nigra ma ritenuto un tantino menagramo. Fedele a chi? Ai poteri costituiti, ma soprattutto, più coerentemente, alla propria immagine, sospesa in precario miracoloso equilibrio storico e ideologico come il paese che rappresenta. I Carabinieri arrestarono Garibaldi, i Carabinieri arrestarono Mussolini: la nostra Italia faticosa e controversa, a ben guardare, deve avere i baffi e la riga rossa ai pantaloni.