Guido Olimpio, Corriere della Sera 13/7/2014, 13 luglio 2014
Saja, la moglie del Califfo Ibrahim, l’uomo che guida l’Isis, è una figlia d’arte. Viene da una famiglia che ha dato molto alla causa
Saja, la moglie del Califfo Ibrahim, l’uomo che guida l’Isis, è una figlia d’arte. Viene da una famiglia che ha dato molto alla causa. Sacrifici, martirio, impegno in battaglia come nell’ombra. La donna conosce la jihad, è consapevole che il destino dei mujahedin può cambiare nell’arco di un minuto. Per una pallottola o magari azionando la carica del corpetto da kamikaze. Dopo settimane di attenzione sul marito, Ibrahim al Badri, noto come Abu Bakr al Bagdadi, i media arabi hanno puntato un faro di luce su Saja, diffondendo notizie non sempre verificabili. E poiché il Califfo ha tanti nemici è anche possibile che contro di lui sia messa in atto una campagna di disinformazione. Così ogni frammento va maneggiato con cautela. La biografia di Saja — sempre che sia fondata — è all’altezza di quella del marito. Il padre Hamid è stato ucciso in uno scontro a fuoco a Deir Attieh, a nord di Damasco, nell’aprile 2013. La sorella Du’aa, invece, ha cercato di farsi saltare ad un posto di blocco dei curdi nel lontano 2008. Azione fallita perché il detonatore della fascia esplosiva che indossava non ha funzionato. Un fratello è uno dei dirigenti dell’Isis e sarebbe alla guida di una brigata nella regione del Qalamoun, uno dei tanti fronti che oppongono i ribelli ai governativi di Bashar Assad. E Saja ha un passaggio importante nella vicenda siriana. Sempre secondo una ricostruzione la donna sarebbe stata catturata dal regime mentre cercava di raggiungere il marito. Una detenzione conclusasi nel marzo del 2013 in seguito ad uno scambio: il suo nome era nella lista di quasi 150 prigioniere barattate da Damasco per ottenere il rilascio delle suore prese in ostaggio dagli islamisti a Maaloula. Su questo particolare però i dettagli paiono meno sicuri. All’epoca del negoziato — risolto grazie alla mediazione del Qatar che versò un forte riscatto — si disse che Saja era «la consorte di un dirigente qaedista», forse del gruppo al Nusra. Dunque nessun legame dichiarato con al Bagdadi. Oggi i media identificano il suo compagno proprio con il Califfo. I due si sarebbero sposati una dozzina di anni fa, quando Ibrahim aveva appena concluso gli studi religiosi che lo avrebbero poi trasformato in un imam. Chi lo ha conosciuto descrive il futuro capo dell’Isis così: «Un tipo tranquillo, sempre molto cortese verso il prossimo. Non attirava mai l’attenzione. E da giovane aveva una grande passione: il calcio». Un amico, infervorato dalla febbre del Mondiale, lo definisce «il nostro Messi, il miglior giocatore». Doti pallonare che avrebbe mostrato su un campo adiacente alla moschea del quartiere Tobchi, a Bagdad. In quel tempio al Bagdadi — secondo testimonianze raccolte dal Telegraph — avrebbe predicato saltuariamente, aiutato dalla conoscenza del Corano e «da una bella voce». Un vicino di casa aggiunge un aneddoto: «Lui passa davanti ad un locale dove festeggiano un matrimonio, uomini e donne ballano insieme nella stessa sala. Un comportamento non in linea con la sua visione ultraortodossa. E allora ha reagito intimando a tutti di smettere perché era contrario alla religione». Piccoli episodi, nulla che facesse pensare ad un guerriero pronto a imbracciare il Kalashnikov. Sempre i conoscenti insistono nel definirlo «padre di famiglia», al fianco della moglie e in apparenza indifferente alla presenza delle truppe americane dopo l’invasione del 2003. Il quadretto del marito tutto casa e moschea non durerà però a lungo. Con il passare del tempo, Ibrahim si avvicina alla resistenza sunnita e partecipa ad una lotta senza fine. È un periodo tumultuoso che spesso divide la coppia. Prima i combattimenti contro soldati sciiti e forze Usa, poi la detenzione a Camp Bucca nelle mani degli americani, quindi il rilascio e la successiva scalata ai vertici di una fazione che diventerà, giorno dopo giorno, movimento. Una realtà, l’Isis, guidata con la ferocia che contraddistingue l’ideologia radicale e la pignoleria del cassiere. Documenti sequestrati dai militari americani hanno svelato l’ossessione per la contabilità. Il Califfo ha imposto regole ferree nel controllo delle spese, con molta cura a «entrate e uscite». Gestione oculata anche per la paga dei seguaci: un dato (ormai superato) stimava a 41 dollari il salario del mujahed, ben al di sotto dei 150 di un operaio. Gli insorti islamisti del resto sono frugali. Erano così Zarkawi e Bin Laden, la stessa cosa sembra essere al Bagdadi e la sua famiglia. Hanno provato sostenere che il Califfo se ne andrebbe in giro con un costoso Rolex. Immediata replica di una compagnia saudita: «È un orologio Al Fajr, valore 560 dollari, la scelta perfetta per un buon musulmano in quanto segnala l’ora giusta della preghiera in qualsiasi parte del mondo ti trovi». Questi sono pettegolezzi lontani dal mondo di al Bagdadi. Ha altro da pensare. Deve raccogliere consensi e guardarsi le spalle. Quanto a Saja sostengono che sia rimasta nell’area di Raqqa, in Siria. Probabilmente raggiungerà il marito al momento opportuno, attenta a non compiere passi falsi che possano comprometterne la sicurezza. Guido Olimpio (Ha collaborato Farid Adly )