la Repubblica, 13 luglio 2014
Tags : Costa Concordia, il relitto si rialza
Al Giglio resteranno due lapidi
Resteranno due lapidi, una bacheca con qualche oggetto “di quella notte” e una Madonna alta un metro, che era nella cappella della Concordia. Ad Sempiternam Memoriam , c’è scritto sul marmo con i nomi delle trentadue vittime al molo rosso. «A memoria del salvataggio di oltre 4.000 naufraghi — recita l’altra lapide — quando la notte del 13 gennaio 2012 la popolazione gigliese tutta… fece di quest’isola esempio di società civile e solidale ». «Memoria», scritta in italiano e latino. Hanno fatto bene a inciderla nelle pietre perché rischia di scomparire, assieme alla Concordia che fra pochi giorni, non più nave ma relitto, verrà trainata nel porto di Genova. Da domani, meteo permettendo, inizieranno le operazioni di galleggiamento per veder poi allontanarsi il Mostro lunedì 21 luglio. «E noi quel giorno — dice Mauro Pretti, di mestiere barcaiolo e responsabile della Protezione civile e soccorso in mare dell’isola — metteremo fuori un cartello con la scritta “Chiuso per ubriacatura”. Non ne possiamo più, di quel tracane, che in dialetto gigliese vuol dire: grosso oggetto ingombrante. Da due anni e mezzo ci impedisce di vedere il
mare e di lavorare con i turisti».
L’hanno chiamata in tanti modi, la grande nave spezzata da un piccolo scoglio. La Balena morta, il Relitto, la Tomba, l’Astronave. Ora che va in discarica non lascia un Giglio unito come quella notte, quando tutte le luci delle case si accesero e tutti offrirono una coperta e un pezzo di pane ai naufraghi. «Sono in tanti — dice il barcaiolo Pretti — quelli che si sentiranno orfani, perché con la Concordia spiaggiata hanno fatto i soldi. Hotel, ristoranti e proprietari di appartamenti in questi due anni e sei mesi hanno fatto dieci stagioni in una. Lavoravano solo d’estate e invece con i tecnici, i subacquei, gli operai stranieri e italiani sono stati al completo da gennaio a dicembre. Ci sono ditte — niente nomi, tanto qui al Giglio li conosciamo tutti — che in qualche modo si sono agganciate ai lavori di recupero e sono passate da un fatturato
di trentamila euro all’anno a mezzo milione. Certo, guadagnare non è peccato, ma questa della Concordia è innanzitutto una disgrazia e non si può guadagnare con le disgrazie».
Anche in queste sere di luglio, dopo la partenza dell’ultimo traghetto delle 19, a passeggio nel porto ci sono i pochi abitanti e tanti uomini con tute, imbracature e mute. «Tutte brave persone, ma il Giglio è un’altra cosa. Vuole turisti veri, alla ricerca di un luogo speciale. Ma adesso il circo è finito e anche chi ha messo da parte tanti soldi prenderà una legnata. Questa è la terza estate nella quale diciamo ai clienti: non venite, non c’è posto. E questi avranno già scelto altri luoghi. Il cantiere della Concordia è costato un milione al giorno e per tanti è stata una pacchia. In fondo un po’ mi dispiace, che se ne vada questo tracane , perché con tanti operai e tecnici forestieri ho fatto amicizia. Ma il mio portafoglio, e quello di chi vive di vero turismo, è stato colpito e affondato».
Ci sono anche pezzi di pane, nella bacheca dei ricordi della chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano. «Pane avanzato sul pavimento della chiesa», annuncia una scritta. «L’abbiamo messo qui — dice don Lorenzo Pasquotti, prete operaio milanese trapiantato sull’isola tre mesi prima del naufragio — assieme a un giubbotto di salvataggio, un Gesù Bambino, un Crocefisso e un tabernacolo presi nella cappella della nave. C’è anche una cima ritrovata fra le panche della Chiesa. Qualche fedele mi ha detto: “Non ce n’era bisogno, ricordiamo tutti cos’è successo quella notte. Abbiamo fatto una cosa bella e buona, aiutando i naufraghi e sappiamo anche che tutto il mondo se n’è accorto. Perché questo piccolo museo?”. Anch’io non avrei bisogno di oggetti. Guardo le panche della chiesa e le vedo come quella notte, un alveare di persone, in silenzio, piene di freddo. Dicevano grazie con un sorriso. Allora il Giglio quasi non lo conoscevo, ma poi ho capito perché tutta l’isola è corsa al porto. Qui sono tutti figli o nipoti di marinai che hanno girato il mondo su navi da crociera o mercantili. Stavolta il naufragio non è avvenuto a Capo Horn, ma sotto le loro case. E allora si va, si aiuta, è naturale. Io comunque, per ogni Messa, uso la pisside trovata sulla Concordia. Ne ho altre, ma voglio sempre
quella. Così ogni mattina ricordo i volti di chi fu accolto in chiesa e prego per coloro che hanno perso la vita. C’era anche una bimba, Dayana. La Concordia adesso se ne va. È un bene. Sulla bacheca abbiamo scritto: “Noi non potremo mai dimenticare”. Il ricordo resterà dentro, ma l’isola deve tornare com’era prima ».
Un letto matrimoniale, un altro singolo. Coperte giallo blu, tv al plasma, aria condizionata. «Le va bene la camera numero 10? È un po’ particolare: è quella di Francesco Schettino». Hotel Bahamas, due stelle. Era l’unico aperto, quella notte. In ventisette camere, nell’atrio, nel bar, nella sala colazioni trovarono rifugio quattrocento naufraghi. «Per fortuna — racconta Paolo Fanciulli, il proprietario — avevo il riscaldamento acceso. Quei poveretti presero coperte e lenzuola prima di salire sui traghetti. Svuotarono il bar, ma io ero d’accordo. Prendete quello che vi serve, avete carta bianca. Non voglio soldi. Usateli per tornare a casa». Al mattino verso le dieci si presentò il comandante, in borghese (si era tolto la divisa prima di scendere dalla nave) con giacchetta e pantaloni blu. Aveva girato tutta la notte nel porto, senza farsi riconoscere. «Vorrei una camera ». «Chiese un caffè con molto zucchero. Gli diedi la numero dieci, anche se era in disordine ». Un’ora e mezza in tutto, per farsi la barba e riassettarsi. Sulla rampa di scale verso la hall la prima bugia: «Quello scoglio non era segnato nelle mappe». All’attracco dei traghetti lo aspettavano i carabinieri.
«Certo — dice l’albergatore — la Concordia ci ha cambiato la vita. Da ottobre in avanti, al Giglio, si vive in letargo. I figli, dopo le scuole medie, vanno a scuola a Grosseto, stanno via tutta la settimana. Il mio era l’unico hotel aperto, dopo si sono accese le luci di tutti gli alberghi e anche ristoranti e bar hanno tirato su le serrande, come se fosse stagione piena. Non mi posso lamentare, in questi trenta mesi tutte le camere sono state occupate e sono stato ripagato molto bene dei “danni” di quella notte. Dalle persone aiutate ho ricevuto molta riconoscenza: c’è un signore tedesco che mi telefona perché vuole pagare la camera usata dopo il naufragio, ci sono persone che mi riportano le lenzuola e le coperte, lavate e stirate».
Non finirà presto, la polemica fra chi dice di essere stato rovinato e chi sostiene che «la mucca va munta fin che dà il latte» e magari spera in altri lavori dopo la partenza della Concordia, per sistemare il fondale e mantenere così aperto un altro piccolo cantiere. «Nel nostro Comune — racconta il sindaco, Sergio Ortelli — ci sono tre paesi: Porto, Castello e Campese. Al Porto ci sono una quindicina di attività che hanno guadagnato bene ma per l’intera isola i numeri ufficiali — quelli dell’Osservatorio per il turismo della Costa d’Argento — dicono che il relitto della Concordia ha fatto danni. Presenze a meno 28% nello stesso 2012, meno 13% nel 2013 rispetto al 2012, e quest’anno 40-50 mila biglietti in meno, rispetto all’anno scorso, sui traghetti. Quattrocento operai non sostituiscono i quattromila turisti, presenti in media nella nostra estate». L’”Imposta comunale sbarco”, messa dal Comune per fare pagare qualcosa a chi arriva al Giglio solo per farsi fotografare davanti alla nave naufragata, è stata aumentata da un euro a uno e mezzo. «Ma gli arrivi sono in calo e incassiamo meno del previsto». Il Comune, parte civile al processo, ha chiesto alla Costa Crociere 80 milioni di danni. «Li useremo — dice Ortelli — per infrastrutture e per ricostruire la nostra immagine. Il naufragio ci ha provocato un danno di invalidità permanente. Non siamo più l’isola più bella del mondo ma quella del disastro. Non sarà facile uscirne. Il nostro borgo con i suoi silenzi invernali è stato travolto. Nel porto non si vedono panfili e vele ma gru, cassoni, piattaforme, rimorchiatori. Contro questo nostro piccolo e splendido mondo è stata compiuta una violenza inaudita. Chi ci amava non ci riconosce più: abbiamo impiegato anni per “fidelizzare” i nostri turisti e ora sappiamo che già hanno scelto altri borghi e altre spiagge».
I bambini, nella spiaggia del porto, giocano a calcio poi fanno il bagno cercando di non alzare la testa. La Concordia è lì a pochi metri, oltre le barriere anti-inquinamento. Parte un traghetto verso la terraferma. Soliti flash, soliti commenti. «È proprio un balenone». Una ragazza straniera si fa il segno della croce e prega. La grande nave è stata una tomba, non uno spettacolo.