Gianni Toniolo, il Sole 24 Ore 13/7/2014, 13 luglio 2014
LA LEZIONE (VIVA) DI BRETTON WOODS
Al Mount Washington Hotel di Bretton Woods mostrano ancora la stanza occupata da Keynes (nella foto) settanta anni fa, tra il 1° e il 22 luglio, durante la United Nations Monetary and Financial Conference, meglio nota come Conferenza di Bretton Woods, alla quale parteciparono circa 750 delegati rappresentanti di 44 Paesi alleati.
La conferenza si aprì tre settimane dopo lo sbarco in Normandia, in un quadro di ottimismo circa l’esito della guerra, ma la sua lunga gestazione era avvenuta in condizioni ben più drammaticamente incerte.
La prima bozza del "Piano Keynes" per una Unione Internazionale di Pagamenti (International Clearing Union) circolò a Londra nell’estate 1941. Pur vittoriosa nella battaglia aerea, l’Inghilterra era rimasta sola a poche miglia da un continente interamente dominato dalla Germania. L’Operazione Barbarossa della Germania contro l’Unione Sovietica, iniziata in giugno, sembrava destinata a rapido successo. Gli allarmi aerei suonavano ogni notte nella Londra oscurata. Gli Stati Uniti restavano neutrali. Nel settantesimo anniversario di Bretton Woods va ricordato anzitutto l’esempio di coraggiosa speranza e intelligente lungimiranza di chi, in condizioni tanto fosche, pensò con largo anticipo alla riorganizzazione dell’economia internazionale del dopoguerra.
Indipendentemente dagli inglesi, Dexter White a Washington abbozzò un piano che prevedeva, tra l’altro, una "Banca Interalleata" (la futura Banca Mondiale) e un "Fondo di Stabilizzazione"(il futuro Fondo monetario internazionale). Il Piano White vide la luce per la prima volta nell’aprile 1942, dopo l’entrata in guerra dell’America. Nei due anni successivi inglesi e americani lavorarono per produrre una versione comune del "piano". Gli obiettivi ultimi dei due Paesi coincidevano largamente: evitare gli errori degli anni Trenta e garantire, anche in tempo di pace, la piena occupazione forzatamente creata dalla guerra. Gli interessi erano, però, molto diversi. Superate le pulsioni isolazioniste, gli Stati Uniti erano consapevoli che la propria forza economica e la nuova posizione di grandi creditori avrebbero consegnato loro anche un’egemonia politica. Il Piano White disegnava un assetto monetario internazionale coerente con questa aspettativa: il dollaro avrebbe fornito l’àncora al sistema dei pagamenti, due organizzazioni internazionali - non a caso localizzate a Washington - avrebbero facilitato da un lato l’aggiustamento degli squilibri delle bilance dei pagamenti, evitando svalutazioni competitive e pressioni deflazionistiche, d’altro lato la promozione dello sviluppo. Il piano di Keynes scontava lucidamente le difficoltà che Londra avrebbe dovuto affrontare nel dopoguerra. Fortemente indebitata, destinata a vedere ridimensionato con l’Impero anche il ruolo della sterlina quale moneta di riserva, l’Inghilterra cercava di disegnare un assetto monetario internazionale nel quale essa potesse ancora giocare un ruolo rilevante basato sul Commonwealth, sulla forza tecnica della City, su relazioni diplomatiche costruite in due secoli di egemonia. Un po’ ingenerosamente Lord Hamilton, in un notissimo bigliettino a Keynes, scrisse: "Loro (gli americani) hanno i soldi ma noi abbiamo tutti i cervelli". Il piano inglese prevedeva una specie di banca centrale mondiale che avrebbe emesso una moneta internazionale (chiamata bancor). Contrariamente a quello americano, il piano inglese enfatizzava la necessità di far sì che il costo del riequilibrio dei conti con l’estero fosse diviso in eguale misura tra i Paesi in surplus e deficit: un problema antico, ancora oggi non risolto.
Nei ventidue giorni di trattative nella quiete di Bretton Woods prevalse un assetto dell’economia internazionale che realisticamente rifletteva gran parte del Piano White. L’Inghilterra aveva però ottenuto da Washington importanti concessioni, soprattutto riguardo ai debiti accesi per gli approvvigionamenti bellici.
Il sistema che ancora oggi chiamiamo di Bretton Woods creò un decisivo ancoraggio per lo sviluppo del "glorioso trentennio postbellico". Resse fino a quando entrambe le parti accettarono le condizioni implicite nell’"egemonia consensuale" degli Stati Uniti sull’Europa occidentale. Crollò quando alcuni Paesi - soprattutto la Francia - pretesero di convertire in oro le proprie riserve in dollari e quando gli Stati Uniti - impegnati in Vietnam e nel progetto di Johnson per una "Grande Società" - non vollero più rispettare il vincolo di prudente espansione monetaria implicito nel ruolo assegnato al dollaro a Bretton Woods.
Che cosa resta di Bretton Woods settanta anni dopo? Soprattutto le "organizzazioni gemelle". La Banca Mondiale ha al proprio attivo importanti risultati nella lotta alla povertà. Il Fondo monetario continua a svolgere un compito importante di prestatore a Paesi in difficoltà temporanee o strutturali di bilancia dei pagamenti, oltre che nella gestione di crisi finanziarie. I nuovi protagonisti dello sviluppo mondiale reclamano una revisione del suo sistema di governo e bisognerà prestare loro attenzione. Resta il ruolo centrale del dollaro nei pagamenti internazionali. L’auspicio di alcuni Paesi per la detronizzazione della moneta americana suona tuttora - indipendentemente dal merito - velleitario, come quello di Keynes a Bretton Woods. Resta aperta, soprattutto nell’Unione monetaria europea, la ricerca di meccanismi credibili di cooperazione nel rendere simmetrico, tra Paesi in surplus e deficit, il peso economico e politico dell’aggiustamento macroeconomico. Resta, infine, il ricordo di quanto possa fare, anche nelle condizioni più buie, la cooperazione - facilitata da un egemone lungimirante - per costruire un futuro a lungo termine, con i necessari compromessi tra interessi legittimi ma divergenti.