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 2014  luglio 13 Domenica calendario

EMILIO MARRESE

BOLOGNA
ALL’ESAME DI MATURITÀ
scientifica si presentò alla commissione con uno stereo portatile. «Dissi “questo è quello che mi sta succedendo”. E schiacciai play». Proprio quel giorno 5-0 special era arrivata in testa alla classifica. Com’era bello andare in giro per i colli bolognesi. «La prof di chimica iniziò a battere il piedino, quello di fisica si rilassò sulla sedia, quella di matematica mi fissava inespressiva». Voto finale? «Sessantuno. Mi sono sempre chiesto cosa significasse quell’uno. Forse: “è scemo, ma non del tutto”». Sono passati quindici anni: 5-0 special vinse il Festivalbar e conquistò quindici dischi di platino, i Lùnapop si divisero poco dopo, non serenamente. Troppi soldi e troppo successo tutto in un colpo per quattro ragazzini che suonavano alle feste liceali. Cesare Cremonini, oggi trentaquattrenne, ha continuato a produrre hit, ha scritto un libro, ha recitato in un film di Pupi Avati ( Il cuore grande delle ragazze, 2010) e forse ne farà un altro di Edoardo Gabriellini, ha riempito i palasport, ha vinto il Nastro d’argento per la miglior canzone da film ( Amor mio cantata da Gianni Morandi in Padroni di casa) e da tre mesi consecutivi la sua ultima Logico# 1, scelta anche per lo spot del più celebre cono gelato, è il brano più trasmesso dalle radio italiane. La prima data al Forum di Assago che aprirà il tour autunnale è già sold out.
Le canzoni le compone ancora sul pianoforte tedesco risalente alla Seconda guerra mondiale che, quando aveva sei anni, gli comprarono usato i genitori, un’insegnante e un medico, da un istituto per ciechi. «Vive con me, nella mia stanza. Alcune cose mi riescono unicamente su quei tasti. Mi accompagna da quando a otto anni venivo esibito alle riunioni di famiglia. A quattordici formai il mio primo gruppo, i Senza filtro, e in quel periodo scrissi tutte le canzoni che avremmo poi pubblicato in Squérez?, l’unico
album dei Lùnapop. Il primo concerto lo tenemmo in un cortile estivo bolognese, buffet misero e poca gente. Le prime cinquantamila lire di ingaggio, le più importanti della mia vita, le prendemmo in un circolo marinaro del centro, tra gomene e salvagenti, spendendole in birra la sera stessa. Per la prima volta però c’era gente che era venuta apposta per ascoltare noi. Una mattina allora feci “fuga” da scuola e andai in una libreria musicale a strappare dalle Pagine gialle della musica bolognese quella dei produttori discografici locali. Mi rispose l’ultimo della lista, Walter Mameli: gli
portai subito un nastrino, e da quel giorno io e Walter non ci siamo più lasciati». Infatti il produttore è ancora qui al suo fianco che fa capolino ogni tanto nel giardinetto fuori dal capannone della periferia bolognese, ai piedi di San Luca, dove Cremonini s’è costruito il suo studio di registrazione.
Sei mesi dopo l’uscita di 5-0 special arrivò il primo assegno Siae, buono per comprarci la casa, e con esso la speranza di aver trovato un’occupazione. «Speranza che non è mai diventata certezza, neanche oggi. Questo lavoro è un miraggio infinito. Così come due film non ti fanno un attore o due congiuntivi non ti fanno uno scrittore. Ma davanti a quella cifra i miei genitori si arresero. Mi ero appena iscritto al Dams, non ho mai dato un esame. Fu un tesoro trovato alla prima porta aperta senza neanche avere la mappa. Se non quella che mi hanno consegnato i miei genitori e che ancora oggi mi consente di attraversare questo mondo. La mia relazione con 5-0 special è ancora molto buona, non l’avevo distrutta ma l’ho recuperata. Mi fa simpatia quell’inizio così allegro e movimentato, una canzone giovane perché fatta da giovani, e non giovanilistica. Si capiva che era scritta da un diciottenne anche se i critici non lo considerarono: loro ti mettono a paragone subito con tutta la storia della musica. Ogni interprete si porta dietro a vita il suo primo successo, come una targa: pensa se fosse stata una melodia disperata… Credo però di non essere ormai più identificato solo con quella canzone ». Un obiettivo lungamente e faticosamente inseguito. «L’ansia di diventare adulto l’ho avuta, sentivo il bisogno di provare la mia crescita, ed era difficile levarsi di dosso il marchio Lùnapop. Questa mia è l’età delle decisioni, del fare, della famiglia, del 730, l’età in cui tutto ciò che ci gira intorno ci chiede chi siamo. E non mi ribello a questo. A vent’anni ti sembra di poter scegliere tutto e invece è proprio il contrario, dalla marca di scarpe al taglio di capelli sono tutte scelte condizionate. A trentaquattro si arriva finalmente in cima a una collina, con tante strade davanti, e si scopre che c’è ancora una montagna all’orizzonte. Ora sento la responsabilità di essere un privilegiato e di dover ricambiare, senza più chiedere scusa né provare senso di colpa. E posso di nuovo permettermi una canzone ironica come Grey Goose, un racconto paraculo dell’amore effimero di una notte che considero la 5-0 special della mia maturità. Me l’ero persa un po’, l’ironia, impegnato com’ero a dimostrare di essere bravo a scrivere canzoni». Ha dunque smesso di cantare l’abbandono, in stile Battisti. «Sarei ridicolo a quest’età a fare ancora il vittimista. La vergogna fa parte del mio mestiere, e la canzone spesso è un rimedio al senso di inadeguatezza. Io mi vergogno se manco di rispetto a qualcuno, anche involontariamente. E soprattutto se sento che sto facendo qualcosa che non mi corrisponde».
L’ossessione della scrittura gli è rimasta. «Ma riesco a governarla. So aspettare con pazienza l’istante. Posso decidere a quale velocità andare. Gran parte dei libri che leggo li lascio a metà per correre al pianoforte a comporre, sfruttando l’ispirazione. Mi ritengo uno che legge poco ma bene: quando un autore mi prende ci vado totalmente dentro, vivo di amori improvvisi ma terribilmente forti. John Fante, Gaber, Dylan, Pasolini, Fellini… E lo stesso vale per le mie altre passioni: la cucina, lo sport, i motori... L’Aston Martin però l’ho venduta: non è più aria di tirare schiaffi alla miseria. Questo lavoro ti insegna presto che le tasse vanno pagate e io sento questo dovere. Non mi vedrete mai prendere la residenza a Monte Carlo». Agli atti. «Guarda quella foto alla parete: io con una birra
in mano dopo il tutto esaurito all’Arena di Verona. Eccola. La felicità è quella, il risultato di una grande attesa. Ciò che non è molto atteso, resta poco. Chi come me corre costantemente il rischio di viziarsi ha sempre bisogno di grandi sfide. Riempire i palasport è la cartina tornasole della credibilità di un artista. Appena intrapreso il percorso da solista avevo vissuto momenti difficili in cui, nonostante i miei dischi passassero molto in radio, non riuscivo a fare pienoni. Ora vendo più biglietti che dischi. Mi ha aiutato il metodo che ci siamo imposti, con Walter, per inseguire un obiettivo diverso e non farsi soggiogare come buoi di un progetto discografico. Un artista che vuole avere successo a volte è solo uno che vuole avere successo. Il mio sogno è un percorso alla Celentano o Morandi che attraversi tutte le stagioni. Scrivere canzoni è un mestiere artigianale in continuo movimento dentro una cornice culturale che altrettanto si muove, e nella quale tu sei un punto dentro. A un certo momento ti ritrovi a essere al centro esatto della cornice. Così ero ai tempi di 50 special e così mi sento di nuovo da qualche anno: di nuovo a fuoco». Cremonini impregna le sue canzoni di bolognesità, ma non si è mai sentito un pulcino di quella cesta. «Faccio parte di un filone e di una città, non di una scuola, e non sono cresciuto nelle ragnatele di Lucio Dalla né dei jazzisti bolognesi. Sono amico di tutti, ma non ho mai voluto stare in una cricca né in nessun salotto di questo mondo. È difficile discernere tra cosa ti toglie e cosa ti dà, cosa ti ruba e ti lascia muto e cosa invece aumenta il talento. Sì, è un atteggiamento che rischia di farti passare da stronzo, ma alla fine ti fa guadagnare rispetto. Dalla aveva grande stima di me, però non lo assecondavo molto. Una volta mi lasciò un messaggio notturno in segreteria: “Ok, ho capito Cesare: non siamo amici, va bene. Però vediamoci”. Chissà se mi ha perdonato…».