Vittorio Feltri, Il Giornale 13/7/2014, 13 luglio 2014
A CHE CI SERVE UNA BARA A NORMA DI LEGGE (E CARA)?
Vabbè, parliamo una tantum di cose allegre: di bare. Fate pure gli scongiuri (non voglio sapere di quale tipo), ma andate avanti a leggere perché l’argomento non è banale. Riassumo la vicenda mortuaria. Precisiamo che la notizia non è nuovissima: è venuta fuori un paio di giorni fa, ma senza suscitare scalpore. Credo invece che essa meriti una chiosa. A Chieti (Abruzzo) le Fiamme gialle hanno sequestrato la bellezza (si fa per dire) di 1.203 casse da morto che ora saranno distrutte alla faccia della miseria. Perché mandare in malora tanto bendidio (si fa sempre per dire)? Esse non sono state costruite a regola d’arte, secondo criteri di legge.
Immagino l’obiezione del lettore, la stessa che ho fatto io: ma quali caratteristiche devono avere le bare per essere considerate idonee a ospitare un defunto? E qui, cari amici, mi cogliete impreparato. Secondo gli esperti, per essere accettabile ed entrare legittimamente nelle imprese di pompe funebri, il catafalco deve rispettare alcune norme igieniche. Quali? Ah, saperlo! Sarò ingenuo oltre che ignorante, ma pensavo che una salma, non correndo il pericolo d’infettarsi, non avesse bisogno di riposare in un ambiente sterile, stante il fatto che una persona già andata al Creatore non rischia di peggiorare le proprie condizioni di salute. Sbagliavo, naturalmente.
Anche un cadavere è obbligato a soggiacere a determinati regolamenti, e chi lo sotterra o lo infila in un loculo è tenuto a non violarli. Si dà il caso che i cataletti in questione non fossero a norma, cosicché sono stati requisiti e dichiarati inutilizzabili per il viaggio nell’aldilà. Il nostro Paese, d’altronde, se è vero che se ne infischia dei vivi, è altrettanto vero che è severissimo con chi ha tirato le cuoia. Si è scoperto che le casse da morto, di cui discettiamo appassionatamente, fossero addirittura taroccate. Si spacciano magliette, borse, jeans Trussardi, camicie Armani, abiti Prada e chemisier Versace? Con la medesima disinvoltura adesso si smerciano bare fasulle con l’intento di farci sopra la cresta. E che cresta. Un sarcofago di marca quota circa 1.200 euro, vantando un legno pregiato e non so quali altri optional. Uno uscito da un modesto laboratorio cinese non costa più di 300 euro. Una bella differenza. E anche di qualità, presumo.
Una cassa da morto senza un brand di rilievo non è degna di ospitare - per esempio - un laureato o un ricco? A Chieti la gente è molto sensibile al lignaggio del de cuius e non tollera inganni: la bara sia all’altezza del trapassato e di coloro che, in buona fede, ne scelgono il giaciglio finale, sborsando somme adeguate. La speculazione non è ammessa. Guadagnare sui vivi non è elegante, ma lucrare sui morti è intollerabile. Ora c’è da chiedersi chi abbia prodotto un simile stock di feretri poco raccomandabili. Sono stati i cinesi, si mormora a Chieti. I soliti cinesi che, quando si tratta di fare soldi, non guardano negli occhi a nessuno, neppure agli estinti (che li hanno chiusi), i quali peraltro non sono in grado di accorgersi delle truffe a loro danno. Una volta adagiati nella dimora terminale è improbabile che protestino, denuncino, affrontino cause con avvocati e giudici. Sono rassegnati per definizione.
Rimane da chiedersi che senso abbia sganciare 1.000 e rotti euro per una bara di lusso, quando se ne possono spendere 300 per una spartana che svolge la stessa funzione. È un mistero mica tanto buffo. Per concludere questa mesta disamina, domandiamo a lorsignori addetti ai funerali per quale motivo dovremmo preferire le casse da morto italian style (care) a quelle cinesi (a buon mercato), visto che il deceduto giace e si dà pace mentre noi provvisoriamente vivi paghiamo qualsiasi cifra perché ci sembra brutto, nel momento del dolore, tirare sul prezzo.