Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dal magma freddo di cui è fatto oggi il Partito democratico esce ogni giorno un nome nuovo. “Repubblica”, venerdì scorso, ha gridato che Bersani lavorava per salire al colle lui stesso, sabato lo stesso giornale ha annunciato che il candidato pd era Piersanti Mattarella, ieri il “Corriere della Sera” s’è detto sicuro che il candidato al Quirinale del centro-sinistra è Anna Finocchiaro. Addirittura: il segretario si presenterebbe con un solo nome, che preannuncerebbe al Quirinale massimo entro domani e i berlusconiani sarebbero messi di fronte a un auto auto, prendere o lasciare. Dal centro-destra hanno già fatto sapere che possono ragionare in termini di rose all’interno delle quali scegliere, ma certo un nome secco sarebbe respinto con sdegno. Intanto esisterebbe un partito di Prodi, che uscirebbe allo scoperto, con una qualche dichiarazione, tra oggi e domani.
• La Finocchiaro ha effettivamente delle possibilità?
Non credo. Le foto in cui faceva la spesa circondata dalla scorta e il rinvio a giudizio del marito Melchiorre Fidelbo per abuso d’ufficio e truffa le tongono molto appeal politico. Fidelbo è innocente fino a prova contraria, ma se l’immagina se fosse condannato? Un capo dello Stato col coniuge definito dalle sentenze “truffatore”? Via, non c’è neanche bisogno di parlarne.
• E allora?
Altra notizia stupefacente è che i renziani sarebbero pronti a votare Prodi. Ma i renziani non erano il lato del Pd disponibile a un qualche dialogo col centro-destra? E Prodi non è la bestia nera di Berlusconi? E Prodi non darebbe subito l’incarico a Bersani, proprio quello che i renziani vogliono evitare per tentare di pigliarsi il partito una volta che il segretario sia uscito di scena? Infatti l’ultimo difensore dell’ipotesi Prodi è Vendola che ieri, da Lucia Annunziata, ha detto: «Non vorrei mettere in imbarazzo Prodi, è un nome talmente autorevole che non ha bisogno di avvocati difensori. Ma trovo intollerabile pensare che si possa immaginare la sua esclusione». È seguito il solito identikit del presidente che deve incarnare la speranza di cambiamento e un elogio critico al metodo cinquestelle di scegliersi il candidato, «occorre rispettare le modalità talvolta confuse e contradditorie, naif e anche molto rischiose di chi prova a rompere la barriera che separa i cittadini dalla politica, dicendo no a un presidente della Repubblica che esce da un laboratorio di specialisti e sì a chi cerca una soluzione alla luce del sole». Ho in ogni caso l’impressione che questo baillame di candidature e pretese intenzioni di voto serva solo a portare la confusione al massimo. Dubito in ogni caso che Bersani riesca a presentare un candidato, mercoledì mattina, capace di raccogliere i due terzi dei voti.
• Perché?
Renzi lo ha attaccato un’altra volta. «Mi spiace che Bersani cerchi l’insulto e l’accusa per di più tra persone dello stesso partito. Io ho soltanto detto, insieme a tanti altri, persino insieme alla Cgil, che bisogna fare presto. Mi spiace che i destini personali di Bersano siano la cosa più importante». Al Tg7 aveva detto: «Il Pd la smetta di occuparsi di me, voglio dire a Bersani di non preoccuparsi di me, anzi, la smetta anche di occuparsi di sé». Bersani, nel discorso alla manifestazione di sabato contro la povertà, aveva detto (tra l’altro): «È indecente che in questa fase si dica “la politica faccia presto”». E anche: ««Qualcuno mi ha detto che quello con il M5S è stato un incontro umiliante e questo non l’avrei accettato neanche da mio padre, ma per il bene del partito sto zitto. L’arroganza umilia chi ce l’ha». Cioè i due se le stanno dando di santa ragione. Bersani venerdì avrebbe cercato Renzi per tre volte al telefono e Renzi non gli avrebbe risposto. Mi sa che il partito sia in questo momento del tutto allo sbando.
• Grillo?
Ieri ha insistito sul concetto che il Parlamento potrebbe lavorare anche senza governo e far passare, per esempio, le norme sul conflitto d’interessi, sull’ineleggibilità di Berlusconi, sulla corruzione. «Il Paese ha bisogno di leggi e di riforme, ma il Parlamento è paralizzato».
• Quando si comincia a votare per il capo dello Stato?
Mercoledì 18 aprile. Deputati e senatori riuniti a Montecitorio e rinforzati da tre delegati per Regione (uno solo dalla Val d’Aosta). Nei primi tre giri, per essere eletti, ci vorrà il consenso dei due terzi degli aventi diritto al voto. Dal quarto basterà la maggioranza assoluta dell’assemblea. E non sarà facile nemmeno allora.
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