Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 15 Lunedì calendario

DAL FORNO DI FAMIGLIA A FELLINI, IL SECOLO D’ORO DEL SIGNOR BARILLA

Era la metà degli anni Sessanta, nel pieno della società dei consumi, e Pietro Barilla doveva lanciare la pasta, ma non riusciva proprio ad accontentarsi dell’immagine della casalinga. Voleva il meglio, il numero uno: e chi rappresentava allora il livello più alto nell’immaginario delle donne italiane, se non Mina? «Era molto bella, alta, elegante, con una gestualità morbida, sensuale, raffinata. L’ho voluta intensamente e mi sono dato molto da fare perché diventasse la nostra testimone». A dir la verità ci fu a lungo una certa indecisione tra le due icone assolute del momento, Mina e Sophia Loren ma alla fine prevalse la tigre di Cremona, nata a due passi da Parma, sede della Barilla, e non a Pozzuoli, come la Loren.
Atmosfere e retroscena dall’Italia del boom che si raccontano in un libro, «Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio» pubblicato da Rizzoli nel centenario della nascita di Pietro Barilla, grande condottiero dell’azienda negli anni della sua maggior espansione. A scriverlo è stato Francesco Alberoni che ha dribblato la biografia classica, per scegliere la formula dell’intervista immaginaria ma non troppo, visto che il sociologo ha conosciuto bene Pietro e ne è stato a lungo consulente dagli anni Sessanta; e oggi si è fatto aiutare dalle ricerche nell’archivio Barilla e dalle testimonianze dei collaboratori e dei familiari di Pietro. Ne viene fuori un racconto, quasi un flusso di memoria, che attraversa quattro generazioni, per ricostruire la storia di un successo familiare nato in un forno di fine Ottocento a Parma. Oltre alla biografia, in occasione del centenario Barilla prepara altre celebrazioni: uno spettacolo stasera al teatro Regio di Parma condotto da Giovanni Minoli, un incontro a Milano alla Bocconi il 16 aprile sul ruolo di Barilla nell’industria italiana, con il rettore Andrea Sironi e Paolo Mieli presidente Rcs Libri; e infine il lancio del Progetto Giovani, che assegna 10 borse di studio da 40 mila euro a studenti di talento. Anche Mina rende omaggio con letterina da inviare idealmente nell’aldilà e che intanto compare nel libro: «Non ricordo se ho fatto in tempo a dirtelo. Tu saresti stato un gran signore anche senza una lira in tasca. Curavi il modo di porti, per non apparire mai come un "padrone". Eri gentile, educatissimo, garbato, premuroso. Con quella voce "sgarata" che non dimentico».
Criteri che per vox populi Pietro applicava anche in azienda, che considerava come un’estensione della famiglia. «Avevamo così la percezione fisica che non c’era discontinuità tra la famiglia e la società. La relazione che l’imprenditore ha con le persone che lavorano in fabbrica non è un semplice contratto, ma anche un rapporto umano» ricorda Guido, il figlio maggiore, ora presidente.
Un occhio all’azienda-famiglia, l’altro sempre attento alla scena internazionale. Le macchine per le linee industriali che accompagnavano la crescita di Barilla, Pietro le andava a cercare in Germania; le idee negli Stati Uniti, soprattutto quelle pubblicitarie che lo resero un pioniere in Italia. E che caparbiamente realizzò chiamando a raccolta intorno alla pasta il meglio della cultura del momento. Persone che spesso erano anche suoi amici come il regista Valerio Zurlini a cui affidò i primi Caroselli di Mina, o Federico Fellini che realizzò lo spot in cui mischiò alta società e rigatoni. E alla cultura rende omaggio anche nella biografia, con frase anti-tremontiana, ricordate la raffinata analisi dell’ex Ministro: «Con la cultura non si mangia?». Leggete invece cosa diceva Barilla: «La cultura: la cosa più trascurata dagli imprenditori e spesso anche dai politici. Sembra la più lontana dalla realtà, dall’impresa, dai soldi. E invece è la risorsa decisiva se sai fare con lei un’alleanza».
Nei difficili anni di piombo Pietro fu costretto a vendere l’azienda agli americani, ma la ricomprò con fantasia imprenditoriale nel 1979, nonostante tutti glielo sconsigliassero, in primis Enrico Cuccia, il carismatico presidente di Mediobanca: «Ho visto i conti e non ne vale la pena. Non posso contribuire alla sua rovina».
Da allora Barilla è stata, assieme a Ferrero, grande ambasciatrice del Made in Italy restando al fondo grande azienda familiare, tenacemente schierata sulla difesa del prodotto e non tentata dai giochini finanziari. «Sono convinto che la radice dei problemi della società al giorno d’oggi stia proprio in questa mentalità speculativa che le nuove generazioni degli uomini d’affari hanno adottato con lo scopo di arricchirsi velocemente senza aver prodotto nulla, quindi senza sforzo». Sono ancora parole di Pietro, un viatico per una nuova ricostruzione, possibile antidoto al nostro quotidiano tsunami finanziario.
Maria Luisa Agnese