Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 15/4/2013, 15 aprile 2013
LENTINI, COME SI DISTRUGGE UN CAMPIONE
Sono le due del mattino di una notte d’agosto del 1993, quando sull’autostrada che porta da Genova a Torino, nei pressi di Villanova d’Asti, un camionista che trasporta quaglie trova il corpo di un ragazzo riverso sull’asfalto. Poco più in là, tra le fiamme, le lamiere incandescenti di quella Porsche gialla che poco prima l’ha sorpassato a folle velocità. Quel corpo inerme, scoprirà poi il camionista, è quello del calciatore Gianluigi Lentini, detto Gigi, grande protagonista delle cronache sportive (e non solo) dell’epoca per essere stato il giocatore più pagato della storia del calcio.
In quel fuoco, la carriera appena agli albori di una stella predestinata al successo, si consuma a velocità massima sotto il peso del suo splendore. “Tornavamo da una quadrangolare a Genova e un amico mi aveva portato la mia Porsche -racconta Gigi a vent’anni di distanza dall’accaduto-, sulla strada bucai e cambiai la ruota con il ruotino (di scorta ndr.). Non sapevo che con quello non potevo andare a più di 70km all’ora. Mi avevano detto solo di andare piano, ma con quella macchina anche solo andare a 100 all’ora ti sembrava di stare fermo. E così la ruota è scoppiata, la macchina si è ribaltata e ha preso fuoco. Io mi sono risvegliato dopo mese”. Che a presentarsi per prima all’ospedale dove è ricoverato sia Rita Schillaci, moglie di quel Totò protagonista di Italia ‘90, contribuisce solo ad accrescere il numero di leggende metropolitane che lo circonda.
Eppure a guardarlo in faccia oggi, mentre con gli amici gestisce una sala da biliardo nel paese dove è nato e dove è ritornato a fine carriera, sembra ancora un ragazzino. Nato nel 1969 a Carmagnola -comune piemontese che ha dato il nome all’omonima danza rivoluzionaria dei sanculotti- da una delle mille periferie dell’impero Gigi Lentini approda al grande calcio con la maglia granata, con cui esordisce in Serie A a soli 17 anni. A vent’anni, ala destra di talento innamorata di sé e del suo dribbling, porta il Toro a un’incredibile finale di Coppa Uefa. Capelli cotonati stile Miami Vice, improbabili giacche di pelle e stivali da cowboy come chi non vuole uscire dagli anni ‘80, nell’estate del 1992, all’ultimo giorno di calciomercato, segna la storia del calcio: passa dal Torino dell’imprenditore craxiano Borsano al Milan dell’imprenditore craxiano Berlusconi per una cifra record, che il quotidiano torinese La Stampa quantifica in 67 miliardi di lire. “Adesso cifre del genere sono all’ordine del giorno, il problema è che io sono stato il primo a essere pagato così tanto, e questo non è andato giù a molti. Nella vita si viene usati e si usa, e quel giorno sono accadute entrambe le cose. Io mi assumo tutte le mie responsabilità”. A protestare non sono solo i tifosi del Toro, per il tradimento del loro idolo, ma anche il Presidente del consiglio Amato, che giudica la cifra immorale in un’epoca di austerity e sacrifici. Anni dopo, si scopre che i miliardi pagati ufficialmente sono poco più di venti, mentre altri dieci, per ammissione dello stesso Borsano e come emerge dalle rogatorie con la Svizzera, sono stati trasferiti in nero sui conti di Borsano. Lo certifica anche la sentenza del 2002, in cui Galliani e Berlusconi sono prosciolti per prescrizione. Ma quella è l’estate del 1992. A febbraio è stato arrestato Mario Chiesa, sta per chiudersi l’epoca della Milano da bere e per cominciare quella di Mani Pulite. E Gigi da Carmagnola, con quella faccia da tronista ante litteram, è scelto da Berlusconi per rappresentare l’immagine che certifichi la continuità in un’epoca di transizione. “Mi ha convinto mandandomi due volte a prendere con l’elicottero per portarmi a Milanello, come si faceva a dire di no a lui e al Milan?”. E’ qui che Lentini, dopo avere vinto uno scudetto ed essere diventato punto fermo della nazionale, apre i cahiers de doléance resi celebri dai sanculotti che danzavano la Carmagnola: “Prima o poi il pallone si sgonfia”. E quella notte di agosto quello che accade è che Lentini non muore. Non entra nella leggenda. Entra in coma. E una volta rimessosi in sesto, quel ragazzo bello, ricco e famoso, semplicemente non avrà più la voglia e la concentrazione per giocare ai massimi livelli. “Faticavo a dare un nome alle cose, riconoscevo cosa erano, ma non riuscivo a esprimermi”. Tra le fiamme di quella Porsche gialla, si spegne la stella creata a tavolino. Oggi, ogni tanto gioca ancora nella sua Carmagnola. E sembra davvero che abbia fermato il tempo. Doveva essere il ritratto acquistato a caro prezzo perché invecchiasse al posto del suo padrone. Invece è successo il contrario. E Gigi, da quella notte di agosto, è rimasto giovane e bello.