Danilo Taino, Corriere della Sera 15/04/2013, 15 aprile 2013
IL RE MONDIALE DELLE MATERIE PRIME ALL’ATTACCO DEL MERCATO DEL RAME
Ivan Glasenberg è di nuovo in movimento. L’amministratore delegato di Glencore — numero uno nel commercio di materie prime — l’anno scorso aveva terremotato il settore quando aveva annunciato la fusione tra il suo gruppo e Xstrata, un altro dei primi estrattori di minerali del pianeta (operazione non ancora conclusa). Ora, sta mettendo in agitazione il mercato del rame: nei suoi magazzini in giro per il pianeta sta stoccando enormi quantità di metallo, in modo legale ma con l’effetto di renderne difficile e più caro l’accesso per gli utilizzatori. Lo fa utilizzando soprattutto alcuni depositi comprati nel 2010, quando Glencore acquisì le attività nelle materie prime della Pacorini di Trieste.
Glasenberg, 56 anni, è un gigante del commercio delle commodities: è l’erede di Marc Rich, il più favoleggiato trader dei tempi moderni, condannato negli Stati Uniti per evasione fiscale e scambi illegali con l’Iran ma poi graziato dall’ultimo atto di Bill Clinton come presidente, il 20 gennaio 2001. Glencore — quartier generale a Baar, Svizzera e registrata nell’Isola di Jersey — è infatti il nome e la forma societaria che ha preso nel 1994 la vecchia Marc Rich & Co. In altre parole, Glasenberg è il commerciante di metalli più potente del mondo: nato in Sudafrica, è anche cittadino di Israele e Australia; da giovane è stato campione di marcia; poi è stato discepolo di Rich; oggi possiede il 15% della società che guida; e Forbes gli attribuisce una fortuna personale di oltre 7 miliardi di dollari. Ora ha nel mirino il mercato aperto del rame.
Succede che Glencore e — secondo il quotidiano Wall Street Journal — l’olandese Trafigura (un altro grande trader del settore) hanno rastrellato negli ultimi mesi una quota consistente del metallo sul mercato. Il modo in cui lo fanno è, secondo gli operatori del settore, semplice e diretto: pagano fino a 120 dollari per tonnellata per convincere chi ha rame da stoccare a farlo nei loro magazzini. Si tratta di depositi certificati dalla maggiore Borsa del settore del mondo, il London Metal Exchange (Lme), nei quali tenere il metallo che va poi consegnato su richiesta degli utilizzatori finali e al momento della scadenza dei contratti futures. Bene: dall’inizio dell’anno, la quantità di rame custodita nel network dei depositi certificati dall’Lme è cresciuta dell’84%, a oltre 590 mila tonnellate, il massimo da dieci anni. Soprattutto, in alcune località ha raggiunto quantità mai viste. Nei magazzini gestiti dalla Pacorini al porto di Johor, Malaysia, la quantità di rame è cresciuta dell’800% in meno di quattro mesi: ora, secondo il monitoraggio dell’Lme, un quinto del rame mondiale è lì. Grandi quantità si sono accumulate anche ad Anversa, in Belgio, i cui magazzini sono in buona parte posseduti dalla Trafigura. Pure a New Orleans, dove ancora domina Pacorini/Glencore, le montagne di rame stanno crescendo. Nelle tre località ci sarebbe oggi più del 70% del rame mondiale.
Ammassare materie prime nei magazzini specializzati non è un’idea originale. Negli anni scorsi è successo con l’alluminio e con lo zinco. Il risultato, però, è che alti livelli di stoccaggio, soprattutto se concentrati in un numero limitato di depositi, creano colli di bottiglia che rendono lunghissimi i tempi di attesa quando il metallo deve essere consegnato fisicamente a chi lo deve utilizzare. La logistica diventa insomma un affare complicato e ciò consente ai gestori dei magazzini di caricare, oltre che alte commissioni di deposito, premi di prezzo sempre più ricchi a chi vuole consegne in tempi se non rapidi almeno accettabili. Nel caso dell’alluminio si è arrivati ad attese annuali. Per accedere al rame, ad Anversa si aspettano già sei mesi, a New Orleans più di quattro, a Johor un mese e mezzo. Nella catena della produzione globale, dove la logistica gioca un ruolo centrale, la situazione che si sta creando — definita dagli operatori warehouse game, gioco del deposito — provoca inefficienze e aumenti dei costi che preoccupano sia i produttori di rame che gli utilizzatori. Distorce cioè il mercato. Una situazione "preistorica", ha commentato la settimana scorsa Thomas Keller, l’amministratore delegato di Codelco, il maggior produttore di rame del mondo.
Nel lanciare il warehouse game sul rame, Glasenberg e Glencore (che non commentano) approfittano di una tendenza in atto, di una svolta nel settore dopo anni in cui la domanda di rame ha superato regolarmente l’offerta. Gli analisti prevedono che quest’anno la produzione supererà di 100-150 mila tonnellate il consumo. I prezzi di una tonnellata di rame, infatti, sono già scesi attorno ai 7.500 dollari, dal massimo di 10.190 registrato nel 2011, e le previsioni di molti operatori del settore indicano che finiranno sotto i settemila nella seconda parte dell’anno. E’ che alcune miniere - come la mitica Esperanza in Cile (del gruppo Bhp Billiton), la maggiore del mondo - producono più del previsto. Soprattutto, il maggior utilizzatore di rame, la Cina che ne usa il 40% del totale, ne ha ridotto il consumo nel 2012 e ora sta riprendendo solo lentamente; e l’Europa, secondo consumatore, è in recessione. La tendenza a riempire i magazzini, dunque, ha un elemento strutturale: Glencore e altri lo vogliono ingigantire. Una volta effettuato l’ammasso, infatti, potranno non solo gestire da posizione di forza le consegne quando la domanda ripartirà; possono anche approfittare su grandi volumi dell’aumento delle commissioni di immagazzinaggio, dovuto alla grande quantità di rame in surplus che da qualche parte deve essere stoccato. Un gioco "preistorico". Ma, come Glasenberg ha imparato da Marc Rich, le materie prime non sono il regno della nuova economia.
Danilo Taino