Roselina Salemi, La Stampa 15/4/2013, 15 aprile 2013
LA BATTAGLIA DEI CAPELLI E’ FINITA E L’HANNO VINTA LE RAGAZZE
I capelli sono il modo più semplice per fare la rivoluzione. Nessun muro da abbattere, nessuna Bastiglia da prendere: bastano gel, forbici, tintura.
Se a qualcuno venisse voglia di scrivere un trattato di tricoantropologia, scoprirebbe una storia parallela a quella ufficiale. Al posto dei governi e delle guerre, colori e cotonature, creste, chignon e treccine afro. Capelloni e skinhead. Rasta e punk. Yuppie e grunge. Vista così la faccenda, si capisce perchè il ciuffo alto e voluminoso di Elvis Presley fosse tanto importante (quando partì per il servizio militare glielo tagliarono, e scoppiò una rivolta) e perché negli Anni Sessanta un giovane maschio con chioma fluente potesse essere considerato sovversivo.
«I capelli sono il linguaggio attraverso cui il corpo degli uomini codifica il rapporto con la società - spiega Marino Niola, antropologo della contemporaneità e autore di “Nuovi miti d’oggi” - i conservatori brandivano le forbici. “Tagliati i capelli” era uno slogan. Barbe e capelli sono altamente simbolici. Atatürk, il padre della Turchia moderna, impose ai funzionari pubblici di non portare la barba, i talebani le hanno rese obbligatorie. Gli skinhead, giovani della classe operaia inglese, reagivano ai capelloni effeminati, mettendo a nudo il cranio, rivendicando un’identità virile e un’appartenenza politica. Le creste punk sono un segno di aggressività: erano sugli elmi greci e romani, prima che nei nostri Anni Settanta, e oggi nei campi di calcio».
La storia presa per i capelli è disseminata di gesti significativi. Il taglio alla maschietta delle «flapper» come segno di indipendenza. Le chiome anarchiche dei figli dei fiori, che protestano contro il servizio militare e la guerra in Vietnam: il musical «Hair» (1967) consacra la loro ribellione. I Beatles che, secondo la leggenda non avevano soldi per il parrucchiere, condannano un paio di generazioni a copiare il loro caschetto irriverente.
Le ragazze preferiscono Twiggy, o la coda di cavallo di Brigitte Bardot. Alcune seguono l’onda punk. Una rivolta vistosa, esagerata, sostenuta dall’espressività della moda. A Londra, nel 1974 Vivienne Westwood apre la scandalosa boutique «Sex» tra tatuaggi, spilloni e borchie. Ma l’aspetto visivo più scioccante nelle foto d’epoca è sempre la testa: capelli rasati alla nuca e ai lati e una cresta stile «mohawk», tenuta su con creme e gel.
Gli eserciti anziché i muscoli, mostrano i capelli. Gli yuppie, neoconservatori, sono perfettini e ordinati, gli anti-yuppie esibiscono strabilianti teste colorate. Poi arrivano Kurt Cobain e i Nirvana e si smette di farsi lo shampoo per inaugurare la stagione grunge. Molti lo seguono. Adesso ci sono i rapper.
«Il trash tricologico - sostiene Niola - è il loro marchio di fabbrica, mentre sulle creste si sta costruendo un nuovo catalogo di miti sportivi: Balotelli, Boateng, Hamsik, El Shaarawy. Il messaggio è arcaico e contemporaneo, e fa combaciare il linguaggio del corpo più antico con le esigenze della società dell’immagine. Identificarsi come individui e colpire il pubblico. Il destinatario non è più il nemico, ma il mondo».
Ora, la carica rivoluzionaria è depotenziata, diventa look e tendenza. «La testa rasata non segna l’appartenenza agli skin, ma è un modo di prendere in contropiede la natura, scegliendo la nudità del cranio, senza aspettare l’inesorabile caduta. Siamo in una società complessa, abbiamo gruppi e sottogruppi, crestine e acconciature con le punte dritte: il principio comunicativo diventa irrilevante, come il confine tra bene e male. Il bene è avere più follower».
Perciò non ci meravigliamo delle creste indisciplinate all’asilo. Non significano più niente. Nel mondo globale, le «minicelebrities», i figli di Brangelina, Madonna, Gwen Stefani, Vicky e David Beckham prima dei sei anni hanno già provato crestine, tinture e ciuffi. Invece significa qualcosa il sidecut, taglio femminile metà lungo, metà rasato sulla tempia (vedi Alice Dellal, Rihanna). Significa, anche Niola è d’accordo, che le donne padroneggiano due codici opposti. Che adesso le più forti sono loro.