Paolo Baroni, La Stampa 15/4/213, 15 aprile 2013
IL SECOLO DI PIERO BARILLA "AVANTI CON CORAGGIO"
«Nella mia vita tutto è ruotato intorno a due pilastri: la famiglia e il lavoro. Io ho sempre pensato che una famiglia unita non è soltanto il più sicuro dei rifugi, ma rappresenta una forza invincibile con la quale si possono affrontare più serenamente tanti momenti difficili. Per molta gente oggi la famiglia è solo una fatica: i figli non si sposano, non hanno figli, si comportano come perenni adolescenti. Ma senza radici non si costruisce e non si lascia nulla. Io ritengo invece che la famiglia sia la base della vita individuale e sociale, in molti casi anche di un’impresa solida, onesta, che continua nel tempo, di generazione in generazione».
La reputazione, il rispetto di tutti, la qualità dei prodotti (con una passione maniacale per tecnologia e innovazione assimilata in gioventù in Germania, e poi in seguito negli Usa) e quindi l’affermazione dell’impresa. Per Francesco Alberoni, collaboratore di una vita del «re della pasta» e autore di una biografia pubblicata da Rcs Libri in occasione dei 100 anni della sua nascita, Barilla aveva un’idea fissa: «Tutto è fatto per il futuro - per dirla con il titolo del volume -. Andare avanti con coraggio». Non a caso, quando si trattava di costruire una nuova fabbrica, Pietro Barilla faceva sembra comprare terreno in abbondanza, anche esagerando, pensando all’ulteriore successiva espansione; e poi pretendeva sempre i macchinari migliori, anche se erano i più cari. «Barilla è più importante di noi messi tutti assieme – ripeteva sempre ai figli, il primogenito Guido e poi Luca, Paolo ed Emanuela -. Noi siamo di passaggio, la nostra vita è breve. Quella di Barilla potrebbe durare per secoli». A patto che sia «ben governata».
«Il rapporto fra padri, figli e figlie – sosteneva - è un rapporto d’amore ma anche di fedeltà e di lealtà. È questa l’ossatura invisibile di una società che poi si estende a dirigenti e maestranze e si incarna negli edifici e nelle macchine. Fabbrica e casa, dal punto di vista economico devono essere separate, guai a confonderle, però devi ricordarti che sono della stessa sostanza, e le macchine sono le braccia della famiglia, della comunità».
La fabbrica, la casa e poi la città, le sue vie, i vecchi caffè e i suoi personaggi, gli incontri, le amicizie e le tante opere di bene (dall’università alle comunità di recupero). Parma ovviamente, la prima bottega in strada Repubblica, poi lo stabilimento che si affacciava sulla via Emilia cresciuto sino a scoppiare, quindi la gigantesca roccaforte di Pedrignano lungo l’Autosole, il più grande pastificio del mondo e che già da lontano col suo totem blu alto quasi 50 metri segnala che lì c’è Barilla, che quella è Parma («Dove c’è Barilla c’è casa!» può esclamare un parmigiano che vi fa ritorno), il cuore della food valley italiana.
La pasta di qualità «sempre al dente» e poi i prodotti da forno, i sughi, biscotti e merende del Mulino Bianco, quindi la conquista dell’Italia (e di tante imprese concorrenti, da Voiello a Pavesi) e dei mercati europei. Ricostruire ottant’anni di vita di un capitano d’industria come Pietro Barilla, significa raccontare di tanti affari, ma anche di una infinità di amicizie (Cesare Zavattini, Attilio Bertolucci, Enzo Ferrari, Carlo Mattioli, Indro Montanelli, Federico Fellini, Riccardo Muti e Renzo Piano e altri ancora), di passioni (per l’arte e la cultura); e ovviamente un bel pezzo di storia patria, dal fascismo alla Liberazione (con i comunisti di Nilde Iotti che gli sequestrano la fabbrica), al boom degli Anni 60, coi primi caroselli di Mina firmati da Valerio Zurlini, passando per gli anni della contestazione e della crisi economica del decennio seguente. I terribili Anni 70 segnati dalla vendita del gruppo alla multinazionale americana Grace.
Momenti difficili, anche disperati, come la guerra che lo vede impegnato in Russia, o quando dopo il 1945, finisce in carcere ingiustamente accusato di collaborazionismo con i fascisti. E momenti di riscatto, come la decisione di ricomprarsi tutto grazie all’aiuto della famiglia Buhrle, i magnati svizzeri della Oerlikon.
Operazione sconsigliata da Enrico Cuccia («Cavalier Barilla, ho visto i conti e i numeri non ne vale la pena. Finirà per rovinarsi»), al quale si era rivolto per primo sperando nei buoni uffici della Mediobanca, e condotta comunque in porto nel 1979 impegnando ogni avere.
Quella previsione si rivelò quanto mai sbagliata se si pensa a cosa è diventato oggi il gruppo, soprattutto grazie alle intuizioni e alla «lezione» del suo presidente, e che fanno di Barilla uno dei più grandi gruppi industriali del Paese. Che giustamente oggi a Parma ricorda il suo vero capostipite.