Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri è uscito dal carcere Pietro Maso, che il 17 aprile 1991, a Montecchia di Crosara (Verona), massacrò a morte con tre complici la madre e il padre, mirando ai soldi dell’eredità e credendo, nella sua suprema arroganza, che non l’avrebbero scoperto. È stato in cella 22 anni, da ultimo nel carcere di Opera, insieme con Riina, Vallanzasca e qualche bestia di Satana (altri massacratori). Subito dopo la condanna in Cassazione, ha scritto una lettera in cui si dichiarava pentito. Nel 2007 ha ribadito la sua contrizione in un’intervista a Repubblica. S’è intanto sposato (2008) e ora ha scritto anche un libro, Il male ero io (Mondadori), con la giornalista Mediaset Raffaella Regoli. Il libro dovrebbe essere lanciato domani (mercoledì è l’anniversario del delitto).
• Ci sono parecchie cose intollerabili, in questa vicenda. Prima di tutto il fatto che sia uscito di galera. Uno così, non l’hanno condannato all’ergastolo e buttato la chiave?
È stato condannato a trent’anni e due mesi. Poi c’è stato un indulto di tre anni. Poi c’è la legge Gozzini, approvata nel 1986 e che afferma la prevalenza della funzione rieducativa della pena. Tra i tanti benefici previsti da quella legge, c’è l’abbuono di 45 giorni di detenzione per ogni sei mesi di buona condotta. Nel caso di Maso, con una pena così lunga, 1800 giorni di abbuono, cioè poco meno di sei anni. Ecco spiegata la scarcerazione di ieri.
• Che sarà avvenuta in un’orgia di telecamere, flash, dichiarazioni…
Appena uscito dal carcere Maso ha abbracciato la sorella Laura, poi à salito su un Suv bianco. C’erano anche un’altra donna (forse la sorella Nadia) e un uomo non identificato. Sono scappati senza dire una parola. Roberta Cossia, il magistrato di sorveglianza che ha firmato l’ordine di scarcerazione, ha detto ai cronisti che oggi Maso «è un cittadino come tutti gli altri e così dovrà essere considerato». Qualche agenzia ha creduto di notare, dietro i vetri dell’automobile, un leggero sorriso. Nel 2007, quando era uscito per la prima volta in permesso-premio, quelli di Mediaset filmarono comodamente tutta la scena. Nadia Maso, dalla sua casa di San Bonifacio (Verona), ha risposto al telefono: «Mi spiace, non faccio commenti, non rilascio interviste, dovete lasciarci in pace». Del libro è stata data qualche anticipazione. «Sono in piedi accanto ai loro corpi. Morti. Una linfa gelata mi è entrata dentro, nelle vene, nelle ossa, nel cervello. Vado in bagno. Devo lavarmi. Apro a manetta l’acqua calda, tengo la testa bassa. Fisso le macchie sul dorso delle mani. È sangue. È il sangue di mio padre. È il sangue di mia madre. Ci è schizzato sopra, sulle dita». Mah.
• Il fatto del libro non piace neanche a lei.
Io, se avessi ammazzato mio padre e mia madre, finito il carcere, sarei voluto sparire dalla faccia della terra. Così come ha fatto, a suo tempo, la povera Doretta Graneris (che ammazzò la madre, il padre, i nonni, il fratellino). Maso, a quanto pare, era pronto ad andare in tv con Alfonso Signorini, a Natale, per una trasmissione sull’amore per i genitori. Glielo ha proibito il giudice.
• Vogliamo ricordare i dettagli di quel delitto, tanto per aver chiaro di che cosa stiamo parlando?
Maso – che aveva 19 anni e faceva il ganzo, bei vestiti, profumi, discoteche, macchine – aveva già provato a sterminare la famiglia. Una volta con le bombolette a gas, un’altra manomettendo lo sterzo della macchina del padre, una terza facendo sedere nell’auto che stava guidando la madre un amico suo con una bistecchiera da fracassarle in testa, e l’amico non trovò il coraggio (ma poi partecipò al massacro finale). Il 17 aprile del 1991 il nostro uomo aspetta con tre amici, mascherati, che i genitori rientrino dalla parrocchia e quando passano la porta comincia a picchiare il padre sulla testa, con un tubo di ferro da 50 centimetri. Cinquantatrè minuti dopo darà il colpo di grazia alla madre. Nessuno dei killer aveva bevuto o preso droghe. Una carneficina consumata freddamente, lucidamente. La pessima letteratura del libro che abbiamo citato sopra mi pare completamente fuori luogo. Il comportamento di Mediaset, che ha investito sull’assassino per farne spettacolo, mi pare orrendo. C’è un solo modo per rispettare queste tragedie – e intendo: rispettare le vittime e alla fine anche gli assassini – ed è il silenzio, cioè la mortificazione dei protagonisti e quella di tutti noi che, nella condivisione di ciò che hanno fatto degli esseri umani, abbiamo di che riflettere sulla ferocia che ci portiamo dentro.
• Tutto questo, alla fine, per incassare quale ricca eredità?
I genitori erano contadini, possedevano la villetta e undici vigneti. In tutto, un valore di un miliardo e mezzo di lire (del 1991). Sono tre figli, a Maso sarebbe toccato mezzo miliardo. Ai tre complici, tutti liberi, aveva promesso un premio di cento milioni. Quattrocento milioni in tutto, in cambio di un padre e di una madre.
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