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 2013  aprile 16 Martedì calendario

VIA DEL CORSO 18. ARTE E LETTERATURA HANNO ABITATO QUI

Si può scrivere la storia di un indirizzo? Lo ha fatto Dorothee Hock, in un libretto di appena sessanta pagine, ma che contiene almeno una decina di romanzi. Si intitola «Via del Corso 18, Roma. Storia di un indirizzo», edizioni Casa di Goethe. Solo per il fatto di avere ospitato, alla fine del Settecento, Johann Wolfgang Goethe, il palazzo meritava attenzione. Ed è per questo che Dorothee Hock, nata a Bensberg nei pressi di Colonia ma residente a Roma da trent’anni e da sedici «custode» del museo dedicato al grande poeta tedesco nella casa dove abitò, ha cominciato a fare ricerche sul palazzo che sorge dirimpetto a palazzo Rondanini. E ha scoperto, frugando negli archivi romani e di mezza Europa, che negli appartamenti di via del Corso 18 di inquilini celebri ne sono passati parecchi, tessendo storie che ricordano quelle immaginate da Georges Perec nel suo indimenticabile «La vita istruzioni per l’uso». Ma qui sono storie vere.Immaginiamo di prendere una seggiola, di collocarla di fronte al palazzo che oggi ospita la Casa di Goethe e di metterci comodi a guardare la facciata. Chiudiamo per un attimo gli occhi e torniamo indietro nel tempo fino al 1550, quando al posto dei palazzi qui si stendevano piccoli appezzamenti di terreno coltivati a vigna dalle famiglie Massimi, Naro e Grandi. Nel 1580 arriva il notaio Jacobus Scala, acquista una particella di terra e vi costruisce la sua casa. Nel 1604 la casa è suddivisa in appartamenti: in uno vive Cassandra Gratiani, vedova del giurista Francesco con i suoi cinque figli. L’altro è affittato al pittore Antiveduto Gramatica, che nel 1593 era stato maestro del giovane Caravaggio. Passano gli anni e gli inquilini: la famiglia Attavanti, Filippo Bozzoli, l’abate Moscatelli, il vescovo Lorenzo Potenza, lo scultore Giovanni Pierantoni, il pittore e mercante d’arte scozzese Gavin Hamilton, forse il celebre artista romantico Johann Heinrich Füssli, nascosto sotto lo pseudonimo di Enzo Fromel. E ancora: l’incisore Giovanni Brunetti da Ravenna, lo scultore veneziano Domenico Agrizzi, intento a plasmare nel mezzanino maschere di cera per il carnevale. Arriviamo al 1786. La sera del 30 ottobre si presenta al portone un signore alto, di circa quarant’anni, che si fa chiamare Filippo Miller. Viene accolto dai pittori tedeschi Wilhelm Tischbein, Friedrich Bury e Georg Schütz, che vivono nel palazzo insieme al cocchiere romano Sante Collina, alla sua seconda moglie Giovanna de Rossi e al figlio Filippo. Al misterioso viaggiatore viene assegnato l’appartamento al secondo piano. Tutti sanno che in realtà si chiama Wolfgang Goethe ed è venuto a Roma per fare il pittore. Ha come vicino di pianerottolo lo scultore neoclassico Giuseppe Ceracchi, che qualche anno prima aveva ritratto Johann Joachim Winckelmann (il celebre fautore del bianco nella statuaria greca) e qualche anno dopo morirà ghigliottinato a Parigi come oppositore di Napoleone.Nel 1790, la signora Collina, rimasta vedova, affitta a «Monsieur Smetti», come veniva chiamato il pittore Johann Heinrich Schmidt. Due anni dopo muore anche lei e arrivano gli aristocratici, che sottopongono il palazzo a grandi lavori di restauro. Si succedono i conti Leoncilli di Spoleto, il marchese portoghese Vincenzo Correa (che costruisce sui resti del mausoleo di Augusto il famoso Anfiteatro Correa utilizzato fino al 1936), il marchese fiorentino Andrea Rangoni. Nel 1836 l’architetto Andrea Giorgi acquista l’intero edificio. Sua figlia sposa Pietro Bracci (nipote dell’omonimo scultore della Fontana di Trevi) che ristruttura il palazzo e costruisce un altro piano. Nel 1876 alcuni appartamenti sono di nuovo in affitto: al terzo piano abita lo scultore Scipione Tadolini, al primo l’ispettore di polizia prussiano Maximilian Schmidt con la «moglie». La mattina del 23 gennaio i due vengono trovati morti nella loro camera, avvelenati. Lo scandalo rimbalza sui giornali di tutta Europa. Viene fuori che la «moglie» era in realtà la figliastra di vent’anni, incinta, e per questo i due erano scappati da casa. Decisi a suicidarsi, si erano goduti Roma per tre mesi. Dorothee Hock riporta le lettere dell’ispettore e i documenti sulla storia della sua famiglia. Ha ritrovato la foto della sorella di Schmidt, Auguste, scrittrice e tra le prime attiviste del movimento delle donne in Germania. Ha ritrovato anche la foto del premio Nobel Paul Heyse, che abitò a via del Corso 18 nel 1878. E quelle della portiera Autorina Mantovani e di sua nipote Nicolina, che durante la seconda guerra mondiale salvarono dalle SS la famiglia Zabban, ebrea. Come ci riuscirono è raccontato nel libro, insieme ad altre storie ancora. Nicolina e Fausto Zabban interveranno alla presentazione del volume, giovedì 18 aprile alle 19, alla Casa di Goethe, via del Corso 18, insieme a Mario Bracci Devoti e a Barbara Palombelli.
Lauretta Colonnelli