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 2013  aprile 16 Martedì calendario

PERCHE’ RALLENTA LA CORSA ALLE ARMI?

L’ultimo rapporto Sipri dice che le spese militari nel 2012 sono calate per la prima volta in 15 anni. È un buon segno?

O il mondo è diventato improvvisamente più buono oppure la crisi comincia a mordere anche i bilanci dei generali. Il calo è modesto, uno 0,5 per cento in meno rispetto al 2011, ma inverte un trend di crescita che si era consolidato soprattutto dopo l’inizio della guerra globale al terrorismo, nel 2001. L’anno scorso, comunque, il mondo ha speso 1.753 miliardi di dollari per gli eserciti, poco meno del Pil dell’Italia.

Chi ha tagliato di più rispetto al 2011?

Il calo complessivo è una media, come il pollo a testa di Trilussa. C’è chi spende molto di più, in genere in Asia, e chi taglia, soprattutto nella vecchia Europa. I cali maggiori sono quelli dell’Italia, meno 5,2%, dell’Australia, meno 4, del Canada meno 3,9, della Gran Bretagna, meno 0,8 e del Giappone, meno 0,6.

L’Italia spende poco, rispetto ai grandi Paesi del mondo?

L’anno scorso il bilancio per la Difesa è stato di 34 miliardi di dollari, pari all’1,7 per cento del Pil. Dieci anni, in rapporto alla ricchezza prodotta, spendevamo il 2 per cento. Siamo leggermente sotto i nostri «concorrenti» diretti: la Gran Bretagna spende il 2,5 per cento del Pil, la Francia il 2,3. Ma la Germania, grande potenza economica del Vecchio Continente, solo l’1,4.

E i cattivi chi sono?

In termini assoluti gli Stati Uniti sono in testa alla classifica delle spese militari, con 682 miliardi di dollari. Molto distanzia la Cina con 166. Terza è la Russia con 90,7. In rapporto al Pil gli americani investono il 4,4 per cento, esattamente come i russi, mentre i cinesi si limitano a un 2 per cento. Rispetto ai tempi della Guerra Fredda ora c’è un abisso fra primo e secondo, mentre l’Urss negli anni Ottanta spendeva in termini assoluti quasi come l’America. La Cina, nuovo rivale di Washington, tende a tenere un profilo molto basso e in realtà dichiara anche meno di quanto stimato dagli analisti del Sipri.

Quindi spendiamo meno rispetto ai tempi della corsa agli armamenti durante la sfida Usa-Urss?

No. Siamo sopra il picco del 1988, al culmine della Guerra Fredda. Poi per un decennio le spese sono calate per ripartire vigorosamente all’inizio del nuovo millennio. Il nuovo record è stato trascinato all’inizio dei conflitti americani in Iraq e Afghanistan. Ma adesso è l’Asia che spinge sull’acceleratore.

Chi cresce di più?

Mosca ha piazzato un più 16 per cento nel 2012. Putin ha in programma di mettere in linea oltre mille cacciabombardieri moderni nel prossimo decennio, oltre a talk di ultima generazioni, navi d’assalto e sottomarini. Un vasto programma per ritornare una grande potenza militare. Le spese della Cina sono invece cresciute del 7,8 per cento. Pechino ha armato la sua prima portaerei e sta sviluppando un caccia «stealth», invisibile ai radar, che potrebbe impensierire gli americani. Un altro campione negli armamenti è l’Arabia saudita che l’anno scorso è cresciuta del 12 per cento ed è ora il settimo Paese al mondo per spese militari, tre posti sopra l’Italia. Riad spende per le forse armate e gli armamenti l’8,9 per cento del Pil, la proporzione più alta fra i 15 primi nella classifica stilata dal Sipri, che vede in testa come detto gli Stati Uniti d’America e si chiude con la Turchia.

E in rapporto al Pil, chi investe di più nella guerra?

Solo la Corea del Nord fa meglio (o peggio) con uno stimato 23 per cento del Pil. I Paesi occidentali oscillano fra l’uno e il quattro per cento. In Medio Oriente la media è doppia. Ma rispetto alla somma totale la fetta del Nordamerica è ancora la più grossa, 40%, segue l’Asia con il 22, l’Europa con il 18 e poi il Medio Oriente con l’8 per cento.

E i Paesi poveri?

Si ritagliano una fetta piccola, l’Africa il 2 per cento, l’America latina il 4. Ma importano comunque parecchie armi dai Paesi ricchi, visto che non hanno una propria industria militare. In Sudamerica le spese stanno accelerando, ma si assiste anche al fenomeno dell’esplodere dei costi per mantenere la sicurezza interna quasi triplicati in sei anni. La guerriglia e le attività criminali dei narcos stanno dissanguando Messico, Colombia e altri Stati produttori di droga.

Che cos’è il Sipri, l’istituto che ha curato il rapporto?

Lo Stockholm International Peace Research Institute, acronimo Sipri, è un centro studi basato a Stoccolma, indipendente, senza fini di lucro, che controlla i cambiamenti nelle spese per gli armamenti, i flussi di armi a livello internazionale e analizza i trend. Ogni anno pubblica un rapporto molto affidabile.