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 2013  aprile 16 Martedì calendario

LA VALLE DOVE SI MAPPA LA MORALITA’ DELLA GENTE PER TROVARE IL KILLER DI YARA —

La signora Isa ha un alibi di ferro come la sua virtù. Dice che ha vissuto per quarant’anni in Africa accanto al marito ingegnere, anche volendo non avrebbe potuto. Oggi Demetrio Marinoni va a prendere il nipotino a scuola, ma una volta ne conosceva tanti di «coetanei peccatori», così li definisce. A quei tempi, le ragazze che restavano incinte venivano mandate tutte in val di Scalve, ai bordi della provincia di Sondrio, per non farlo sapere al resto del Paese. È lassù, dice, che bisogna cercare, non qui, «che siamo tutti gente di preghiera».
La chiesa di Rovetta è accanto al municipio, proprio di fronte al Caffè in Piazza e ai suoi tavolini all’aperto dove un gruppo di anziani si gode il primo sole di stagione parlando di un solo argomento. «Comunque non ce lo meritiamo questo processo» afferma un’amica della signora Isa. «E noi cosa ne sappiamo» replica lei. L’idea che certe cose restano in famiglia non funziona più in questo piccolo paese della val Seriana, «quadro naturale di singolare bellezza», come da decreto governativo del 1967 che mise tutto il territorio comunale sotto vincolo. La naturale ritrosia bergamasca al racconto di sé e degli altri — «le novità non si dicono» è il precetto del signor Demetrio — non può fare da argine. Non da quando un collega dell’autista Giuseppe Guerinoni si è confidato con gli investigatori, ripescando dalla memoria vecchie e finora taciute confidenze che gli aveva fatto l’amico.
Sarà stato il 1962-1963, dopo il lavoro ci si fermava a Ponte Selva per un Crodino e qualche canzone al juke box con le ragazze che vivevano al convitto del cotonificio Cantoni, dall’altra parte della provinciale. Il «fattaccio», Guerinoni lo chiamò proprio così, deve essere successo in una di quelle sere, con una ragazza nata a Rovetta. E adesso sappiamo che il figlio di quel «peccato» potrebbe essere il carnefice di una bambina di 12 anni scomparsa nel novembre 2010 a due passi dalla sua casa di Brembate di Sopra. C’è qualcosa di ancestrale, che va oltre il semplice bisogno di giustizia, nella ricerca dell’assassino di Yara Gambirasio. La Città dello Sport, il centro polifunzionale dove è stata vista per l’ultima volta, sembrava davvero quella bolla perfetta che i genitori immaginano possa custodire i loro figli mentre loro non ci sono, sorvegliata com’era da tante mamme, assistenti e telecamere, i fari nel parcheggio a scacciare qualunque buio. La sua morte ha generato una angoscia collettiva, non solo nella Bergamasca, perché mette di fronte a un Male metafisico, alla sua casualità, lascia inermi davanti alla scoperta che non esiste un Luogo protetto.
Così non è dato arrendersi al vuoto pneumatico, e infine seguendo le indagini scientifiche, le uniche rimaste in piedi, si è arrivati a questo paradosso. Alla ricerca di un figlio illegittimo, e di un segreto rimasto custodito da allora fino ad oggi, in una delle valli più cattoliche d’Italia. «Tutti soldi buttati». Il signor Franchina, ex alpino classe 1934, è un elemento fisso del paesaggio di Ponte Selva. Ogni mattina esce dalla sua casa e passeggia ai bordi del paese. Abita al piano di sotto dell’appartamento comprato da Guerinoni nel 1966. «I carabinieri mi hanno convocato per chiedermi pettegolezzi che non conosco».
Il confine tra pettegolezzo e indizio non è mai stato così incerto. Dopo il nulla che questa indagine ha accumulato fino a poche settimane fa, ogni segnalazione adesso diventa buona, ogni anziana signora oggetto di voci diventa potenziale madre di assassino. L’ansia della svolta obbliga gli investigatori a mettere in discussione la moralità di una valle, a soppesare il pettegolezzo di paese come fosse la segnalazione giusta, che può risolvere uno dei delitti più angoscianti della nostra storia recente.
Adesso è difficile fare distinzioni tra categorie così diverse. I luoghi del «fattaccio» non vengono in aiuto, testimoniano solo una distanza temporale così grande da far pensare a un tentativo disperato. Il convitto del cotonificio dove si fermavano le operaie della valle è un reperto di archeologia industriale, il Park Hotel, all’epoca un night club di dubbia fama dove si davano appuntamento le coppiette in incognito, è diventato un «Afrobar» da ritmi tribali e fine settimana affollati. Davanti al suo piazzale deserto il signor Franchina non smette di imprecare. «Il Guerinoni era uno dei nostri. Era a posto, la smettano di darci fastidio. Non siamo mica brutta gente».
C’è una possibilità su un milione, dice il vecchio alpino, e anche gli investigatori forse sarebbero d’accordo con lui. Poi viene subito in mente quella bolla di Brembate di Sopra. I nostri figli così fragili, quella bambina in tuta da ginnastica che sorride nella foto. E appena fuori, il Male che la aspetta.
Marco Imarisio