Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 16 Martedì calendario

L’ISOLA DEL GIGLIO ALLA COSTA: «CI DOVETE DARE 80 MILIONI»

È il giorno della resa dei con­ti. O meglio, sul tavolo del giu­dice che deve decidere il desti­no del comandante Francesco Schettino, cominciano a dan­zare le cifre del disastro. Una tragedia che è ancora lì, con la Costa Concordia semiaffonda­ta come una gigantesca balena nelle acque cristalline del Gi­glio. Rimuovere il relitto è im­presa ardua: e dopo un anno e passa la data e la meta del suo ultimo viaggio continuano ad essere spostate in avanti, verso l’estate e oltre. E allora, nell’at­tesa che la parola fine sia final­mente scritta, gli uomini prova­no ad abbozzare i numeri della sofferenza e dello scempio che hanno stravolto la comunità di un’isola appartata, oggi sfre­giata e trasformata nel fondale di una cartolina di morte. Il Co­mune del Giglio, parte civile, chiede un risarcimento pari ad almeno 80 milioni e sottolinea «l’irreparabilità di quel che è accaduto». Ottanta milioni so­no tanti, ma mai era capitato che una nave da crociera, un tir dei mari, centrasse gli scogli abitati come in un videogame. E anche i legali di alcuni dei naufraghi quantificano, fissan­do l’asticella a quota cinque­centomila euro. Per carità, sia­mo solo all’inizio del combatti­mento e la discussione prose­guirà nelle prossime puntate. L’udienza preliminare deve af­frontare tanti problemi, acuiti dalle dimensioni smisurate di questo procedimento senza precedenti: a bordo della Co­sta c’erano 4200 persone. I mor­ti sono trentadue e poi c’è l’impatto devastante della sciagu­ra sul Giglio e tutto il resto per­ché la storia ha fatto il giro del mondo. Si fa fatica ad immagi­nare ch­e tutto questo e altro an­cora poggi principalmente sul­le spalle del comandante Schettino, l’unico dei sei impu­tati presente, ma ormai anche quel cognome, Schettino, è en­trato ­nel vocabolario universa­le come sinonimo di una faciloneria assassina. Lui, lo Schetti­no in carne ed ossa, ascolta le ri­chieste dei molti legali che af­follano il teatro Moderno di Grosseto, sede di questo set giudiziario, e intanto sfoggia un’abbronzatura che suscita commenti ammirati. Sono ben duecento, nel cor­so della giornata, le richieste di costituzione di parte civile: as­sociazioni, enti, persone fisi­che. È il mondo intero a chiama­re in causa Schettino. E in quell’ elenco sterminato c’è anche la Costa, la compagnia che aveva affidato a Schettino il transa­tlantico. «Abbiamo subito un danno enorme», spiega l’avvo­cato Marco De Luca che ancora una volta prova a separare i de­stini dell’azienda da quelli del comandante. Il management del colosso dei mari è stato coin­volto nell’indagine, Schettino ha sempre detto di aver chiesto aiuto all’unità di crisi di Geno­va e di aver spiegato la situazione momento per momento e, insomma, prova ad alleggerire il fardello che lo schiaccia co­me in un affresco medioevale, ma la Costa cerca di interpreta­re la parte della vittima. E di non restare impigliata nel gio­co delle responsabilità, come invece sostiene la difesa dell’in­dagato numero uno che infatti si oppone alla mossa di De Lu­ca. Schermaglie procedurali che riempiranno le prossime udienze. Al di là del bombardamento delle cifre, si spera che la magistratura riesca a gestire una vicenda che sfugge da tutte la parti. Troppe tragedie italia­ne, fra perizie e incidenti proba­tori, si sono trasformate in pro­cessi senza orizzonte. Troppo grandi per città troppo piccole e così complesse da diventare rebus scientifici e dunque anche giudiziari. La verità sull’or­rore della Moby Prince, brucia­ta nelle acque di Livorno, pare irrimediabilmente lontana; la ricostruzione della strage di Viareggio, 32 croci come al Gi­glio, arranca in aula. Il modello potrebbe essere quello seguito per Linate: la giustizia, sapien­temente guidata da giudici che si sono rivolti a periti di indub­bio spessore, è atterrata nell’aeroporto milanese in un tempo ragionevole. Speriamo arrivi anche nel minuscolo porto del Giglio.