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 2013  aprile 16 Martedì calendario

RCS E TELECOM, BANCHE SOTTO ACCUSA

La lettera scritta da Diego Della Valle al cda di Rcs fa cla­more perché arriva là dove, di solito, gli azionisti di minoran­za non possono. Cioè a far ru­more di fronte a un’operazione che non è di mercato. Allo stes­so tempo, però, definire il pa­tron della Tod’s un piccolo azio­nista è un po’ troppo: si tratta di un signore con un patrimonio personale stima­to intorno al mi­liardo di euro, an­che se con il suo 8,7% di Rcs sta fuo­ri sia dal patto di sindacato dei grandi soci, sia dal cda (e in entrambi i casi per sua scelta). Quin­di qualcuno potrebbe obiettare che «chi è causa del suo mal pianga se stesso»: se Della Valle,l’esta­te scorsa, ha inve­stito una dozzina di milioni in un gruppo già in con­dizioni economi­che e finanziarie disastrose, sape­va bene il rischio che correva. Tuttavia la sua denuncia, che ha trovato qualche sostenitore anche all’interno del cda e del patto (le dimissioni dei Merlo­ni), accende un faro su quello che sta accadendo al capitali­smo nazionale: la malattia di al­cuni gruppi gestiti per anni se­condo logiche «di sistema», ma comunque quotati in Borsa, ri­sc­hia di essere curata salvaguar­dando in primis gli interessi del­le banche e trascurando se non addirittura penalizzando quel­li del mercato e delle stesse so­cietà interessate.
È esattamente quello che so­stiene Della Valle che, nel caso di Rcs, accusa le banche finan­ziatrici del gruppo (Medioban­ca, Intesa, Ubi, Unicredit, Bnl e Pop Milano) di aver orchestra­to un piano di rilancio a loro immagine e somiglianza: hanno studiato un aumento di capita­le, estremamente diluitivo, di almeno 400 milioni, 200 dei quali andranno immediata­mente utilizzati per rimborsare i crediti. Di queste banche, tra l’altro,Mediobanca e Intesa so­no anche azioniste nel patto di sindacato Rcs e da sole hanno il 18,6 % del capitale: senza la loro adesione sarebbe stato difficile chiudere l’operazione che ri­chiedeva almeno il 50% di sotto­scri­zione dei soci per far scatta­re la garanzia del consorzio sul­l’inoptato. E chi partecipa al consorzio? Le stesse banche creditrici. E il cerchio si chiude. Secondo Della Valle si tratta di un rientro dei crediti bancari finanziato con i soldi i soci, a con­dizioni diluitive, e ben poco uti­le al rilancio della società. Men­tre la strada maestra sarebbe stata quella di rinunciare a par­te del debito e/o trasformarne un’altra in equity: così sì, dice Mr Tod’s, si aiutava il «Corrie­re».Un’operazione di questo ti­po è stata fatta, un anno fa, per Fonsai. Ma pure in quel caso, le banche hanno avuto un trattamento particolare quando, nel­l’integrazione con Unipol, è sta­ta salvata la holding Premafin, a sua volta indebitata.
Il caso Rcs piomba sul merca­to nelle ste­sse ore in cui si discu­te la sorte di Telecom, dove alcune delle stesse banche (Medio­banca e Intesa, questa volta azioniste) potrebbero avvantaggiarsi di un’offerta (quella dei cinesi di H3g) che non rico­noscerà un’euro al mercato. E qui si parla di mezzo milione di azionisti, non dei pochi affezio­nati di Rcs. Ieri è stata annuncia­ta un’operazione, quella del­l’ingresso di Rosneft in Saras, nella quale una parte delle azio­ni verranno acquistate attraver­so un’Opa parziale a riparto: questo potrebbe essere lo sche­ma da applicare a Telecom se si volesse essere «market frien­dly». Vedremo cosa verrà deci­so, anche in questo caso, nelle prossime settimane.