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 2013  aprile 16 Martedì calendario

LA CINA RALLENTA: NEI PRIMI TRE MESI IL PIL CRESCE DEL 7,7%

La locomotiva cinese ha rallentato di appena una frazione sul previsto nei primi tre mesi del 2013. Ma in un momento di grande incertezza globale, quando l’Europa fa fatica e la ripresa americana è ancora esitante, il minimo rallentamento cinese, l’unica economia che dopo la crisi del 2008 ha sempre corso a ritmi quasi esasperati, è sufficiente a seminare dubbi nel mondo.
La crescita del Pil è stata del 7,7%, rispetto al 7,9% di un anno fa e rispetto all’8% che molti economisti si attendevano. Il colpevole del rallentamento è, secondo molti economisti cinesi, la politica del Governo centrale di restrizioni sul mercato immobiliare.
Nelle grandi città, per calmierare il rialzo dei prezzi delle case, il Governo ha applicato una serie di misure amministrative che impediscono l’acquisto di case. A Pechino per esempio può comprare un appartamento solo una coppia con la residenza e sposata, e possono comprare non più di un appartamento a testa. Questo perché gli appartamenti nelle metropoli erano diventati una specie di investimento rifugio per i ricchi di tutto il Paese, con il risultato che i prezzi andavano alle stelle e i pechinesi o gli shanghaiesi normali, quelli della nuova classe media, non riuscivano più a comprarsi casa.
In contrasto intere foreste di palazzi nelle piccole città, da uno, due milioni di abitanti, sono state costruite senza essere vendute. La nuova politica di restrizioni sull’immobiliare ha rallentato enormemente il settore che era stato uno di quelli trainanti negli ultimi anni.
Su questo fronte però non sembra che nel breve periodo ci saranno profondi cambiamenti. Nelle stesse ore in cui questi dati venivano resi pubblici il neo premier Li Keqiang, certamente bene al corrente della situazione, spiegava che per il futuro avrebbe puntato a nuovi elementi per la crescita: creazione di nuovi posti di lavoro e aumento dei salari. Entrambi i fattori dovrebbero incidere almeno nel medio termine sull’aumento dei consumi interni.
Si tratta di segnali per un cambiamento radicale del modello di sviluppo. Nuovi posti di lavoro possono venire da nuove piccole e medie imprese, che sono per la gran parte private, mentre l’aumento dei salari toccherà invece le grandi imprese, per la maggior parte statali.
Quindi il premier dice che incoraggerà la crescita delle piccole imprese private e darà invece più pressione su quelle grandi, per lo più di Stato.
Per questo, a dispetto della flessione dello 0,3% di crescita rispetto alle aspettative l’agenzia ufficiale Nuova Cina ripeteva ieri che la situazione complessiva dell’economia rimane buona. Incoraggiante in questo senso è il lieve ma pur significativo aumento delle vendite al dettaglio con un più 12,6% in marzo, rispetto allo stesso dato del 2012. A febbraio l’aumento era stato del 12,3% e le attese per marzo erano di un 12,5.
Il Governo si aspetta che le nuove misure in favore delle piccole imprese possano cominciare a dare frutti fra qualche mese. Nel frattempo la ripresa degli Usa si potrebbe rafforzare, e la politica di quantitative easing giapponese potrebbe avere riflessi benefici sull’economia tutta la regione.
Naturalmente tutto resta un problema di tempi e ritmi. Se i segnali nei prossimi 3-6 mesi dovessero rimanere tiepidi, e il Governo dovesse sentire il bisogno di un’accelerazione ci sarebbero comunque molti strumenti a disposizione per intervenire. La spesa per gli investimenti rimane ancora intorno al 50% del Pil. Con trilioni di riserve nelle casse, e un debito pubblico, secondo ogni calcolo (comunque sotto il 60% del Pil) ancora a livelli buoni rispetto a quelli europei o americani, Pechino potrebbe intervenire sulla crescita. L’attesa però è che il nuovo premier vorrà vedere il frutto delle sue nuove politiche prima di ritornare alle pratiche di intervento macroeconomico.

Francesco Sisci

NELLE PROVINCE RURALI TASSI A DUE CIFRE –
Nel 2012 la Cina ha registrato la crescita più bassa degli ultimi 13 anni e l’era dell’espansione a doppia cifra sembra ormai archiviata per sempre. Quest’anno, dopo la partenza rallentata nel primo trimestre, l’economia dovrebbe riprendere slancio, ma dal 2014 si prevedono tassi di sviluppo attorno al 7% se non più bassi. Se questa è la dinamica del Paese nel suo complesso, molte Province invece continuano a crescere a ritmi sostenuti, spesso quelle rurali e più remote. Sono proprio le regioni che il regime di Pechino ha da tempo messo al centro della politica d’intervento per guidare il Paese verso una crescita più equilibrata.
Nel 2012, le iper industrializzate e avveniristiche municipalità di Tianjin e Chongqing hanno confermato la propria posizione di vertice tra le Province cinesi, con una crescita del Pil rispettivamente del 13,8 e del 13,6% (secondo i dati dell’Economist intelligence unit). Tuttavia, Province ancora agricole e sottosviluppate, come Guinzhou e Yunnan, si sono piazzate alle spalle delle prime della classe, con tassi del 13,6 e del 13%, superando capisaldi dell’industria come Shaanxi e Sichuan. Guinzhou ha beneficiato degli ingenti investimenti in infrastrutture per la realizzazione di aeroporti e di una rete di collegamenti veloci. Nel 2013, Pechino costruirà o ammodernerà 200mila chilometri di strade nelle aree rurali.
Alle risorse pubbliche si sommano i finanziamenti privati in arrivo proprio dall’Est: il Governo di Guinzhou, per esempio, ha lanciato un programma di raccolta fondi che in due anni ha portato alla sigla di 902 progetti con imprenditori di Zhejiang, Shanghai e Jiangsu, per un valore di 317 miliardi di yuan.
Gli investimenti in opere pubbliche hanno trainato la crescita anche di Gansu, una delle Province più povere del Paese, che ha messo a segno un’espansione del 12,6 per cento. Ma il bello deve ancora venire. La sua capitale, Lanzhou, è stata selezionata per diventare una "New Area", promozione che in passato ha fatto la fortuna di Pudong, che oggi ha un Pil paragonabile a quello della Slovenia, e Binhai dove hanno aperto i loro uffici 285 multinazionali del club Fortune Global 500.
Storia analoga quella della seconda Provincia più povera della Cina, Qinghai. Qui gli investimenti, soprattutto nel settore dell’energia solare, sono stati pari all’88% del Pil locale. E quest’anno Qinghai punta a raddoppiare la sua capacità installata di pannelli.
Questa rimonta degli "ultimi" riflette la politica «Go West» varata dal regime all’inizio degli anni 2000 proprio nel tentativo di incentivare lo sviluppo delle aree più povere. Proprio le ormai moderne Sichuan e Shaanxi sono tra le Province che più hanno beneficiato di questi interventi, insieme a Chongquing. Creata nel 1997, oggi ha una popolazione di quasi 29 milioni di abitanti (7 milioni l’area urbana): Pechino vuole farne la piattaforma commerciale e finanziaria per lo sviluppo dell’occidente.
Per combattere la povertà nelle zone rurali, l’anno scorso il regime ha stanziato 48,2 miliardi di dollari, il 32% in più rispetto al 2011, e quest’anno aumenterà ancora i programmi di spesa. Inoltre, per sostenere i redditi degli agricoltori alzerà i prezzi minimi di farina e riso. Negli ultimi 12 mesi, la popolazione rurale in condizioni di indigenza è scesa da 122 a 99 milioni. Anche il reddito disponibile mostra una dinamica più accelerata nelle regioni interne: qui nel 2012 è cresciuto in termini reali del 10,7%, contro il 9,5% nelle città. Il divario resta comunque enorme: il reddito pro-capite in campagna è di 7.917 yuan, contro i 24.565 nelle città.
Nelle aree costiere, inoltre, il declino della popolazione in età lavorativa che interessa tutto il Paese, è più forte a causa della riduzione dei flussi migratori dalle campagne, dove la qualità della vita sta migliorando, ma anche perché parte della migrazione interna viene assorbita da altre aree di nuova industrializzazione.
Le Province in via di sviluppo possono poi offrire al tessuto economico più facili condizioni di credito. Quando nel 2011 le autorità monetarie hanno cominciato a riassorbire la massa di liquidità rilasciata per reagire alla crisi del 2008, hanno infatti in parte risparmiato le aree più povere, che secondo il Governo avevano bisogno di investimenti e prestiti. Al contrario, è a Est che la bolla immobiliare è più minacciosa e dove Pechino più ha calcato il freno sul credito. Non a caso, in fondo alla classifica della crescita nel 2012 ci sono Shanghai e Pechino.

Gianluca Di Donfrancesco