Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 16/4/2013, 16 aprile 2013
ESTASI MATEMATICA COSÌ CÉDRIC VILLANI INSEGNA A FARE L’AMORE CON I NUMERI
Chi abbia visto una volta Cédric Villani, difficilmente lo dimentica. E chi lo veda senza conoscerlo, può facilmente scambiarlo per un baronetto uscito da un romanzo di Jane Austen: non solo per il suo aspetto fisico e i suoi lunghi capelli lisci, ma anche per il suo singolare abbigliamento, che consiste sempre di giacca (spesso a tre quarti) e panciotto, una colorita cravatta Lavallière o Ascot, e una vistosa spilla a ragno. Chi lo conosca per il suo lavoro, invece, non potrà che ammirarlo per la sua originalità intellettuale, premiata nel 2010 con la medaglia Fields: l’analogo del premio Nobel per la matematica. Alla cerimonia di consegna della quale, al Congresso Internazionale dei Matematici tenutosi a Hyderabad, il suo abbigliamento spiccava, in aperto contrasto con i costumi tradizionali della presidente della Repubblica Indiana e dei suoi dignitari.
Cosa ci sia nella testa di Villani, sotto la chioma e sopra la cravatta, è difficile immaginarlo. Ma a permettere di gettarci uno sguardo fugace è ora il suo libro
Il teorema vivente. La mia più grande avventura matematica
(Rizzoli, traduzione di Paolo Bellingeri), la cui copertina lo ritrae con acconciatura e uniforme di ordinanza, e il cui retro promette: «Il romanzo di una scoperta matematica».
Il libro mantiene la promessa solo in parte, e dunque soddisferà solo una parte del pubblico potenziale. A essere soddisfatti saranno coloro che si interessano al lato umano e umanistico delle cose, e dunque all’“avventura” e al “romanzo”: cioè, per fortuna dell’autore e dell’editore, la stragrande maggioranza dei lettori. A essere delusi saranno invece, paradossalmente, coloro che si aspettano di finire il libro capendo qualcosa del “teorema” e della “scoperta”: cioè, per sfortuna loro, la minoranza di matematici professionisti o dilettanti.
I primi, cioè coloro che costituiscono il vasto pubblico, vedranno sfatati i loro pregiudizi più comuni sui matematici e la matematica. Perché la gente pensa, da un lato, che i matematici siano persone avulse dalla realtà e dalla vita normale, chiuse al mondo e ai suoi piaceri, perse nei loro pensieri, e incapaci persino di legarsi le scarpe o di soffiarsi il naso. E, dall’altro lato, che la matematica sia una disciplina per pochi eletti, ai quali improvvise e folgoranti intuizioni permettono di squarciare il grande velo che nasconde al resto del mondo i significati dei teoremi e le ragioni della loro verità.
Villani mostra loro, invece, che i matematici (o, almeno, quelli come lui) sono persone piene di vita, di interessi e di fantasia. Sognano (come tutti), prendono appunti sui loro sogni (come pochi), e li pubblicano nei loro libri (come quasi nessuno). Inventano fiabe, e le raccontano
non solo ai loro bambini, ma anche ai loro lettori. Portano e vanno a prendere i figli a scuola, a turno con le madri. Passano con loro serate e weekend, anche se spesso continuano a pensare al proprio lavoro nel retro della mente. Viaggiano di qua e di là nel mondo, soli o con la famiglia, per lavoro o per piacere. Leggono fumetti e ascoltano canzonette, di cui riportano nei loro libri lunghi elenchi, e addirittura le liriche.
E, naturalmente, mangiano di gusto. Al punto da non riuscire a immaginare di poter vivere troppo a lungo nei “barbari” Stati Uniti, a causa della scandalosa mancanza di baguette e formaggi decenti. E da rifiutare per questo un’offerta di lavoro fisso all’Istituto degli Studi Avanzati di Princeton, tempio della ricerca teorica, i cui membri sono poeticamente pagati solo per pensare, senza dover prosaicamente insegnare o pubblicare. Poco male, visto che oggi Villani dirige l’Istituto Poincaré di Parigi, un analogo francese un po’ meno prestigioso di quello statunitense, ma situato in una terra culinariamente più “civile”.
Quanto all’immagine del genio matematico «tutta ispirazione e niente sudorazione », è solo una sciocchezza romantica: persino menti inarrivabili, quali Isaac Newton o Bernhard Riemann, hanno dovuto fare sforzi sovrumani e spaccarsi la testa con calcoli tremendi, come dimostrano le loro carte. E il libro di Villani offre il suo contributo a sfatare la leggenda. Lo vediamo infatti intuire, dubitare, rivedere, ricredersi. E combattere insieme al suo coautore una battaglia epica che, dopo un paio d’anni di lavoro, li porterà a una dimostrazione finale del loro teorema di ben 180 pagine.
Il tutto attraverso lunghe ore d’insonnia, nervose passeggiate notturne, improvvisi crolli di stanchezza, dormite diurne sul pavimento dell’ufficio, e ben un centinaio di successive riscritture delle bozze dell’articolo! Una delle quali, considerata definitiva dagli autori, fu rifiutata dagli impietosi referee della
rivista a cui era stata sottoposta, a dimostrazione che nella scienza non ci sono vie regie. Nemmeno per una futura medaglia Fields, che un giorno non lontano vedrà i suoi sforzi ricompensati dalla fatidica telefonata che annuncia il riconoscimento che tutti i matematici sognano di ricevere.
La citazione letta alla cerimonia della premiazione di Villani recita: «Per la sua dimostrazione dello smorzamento non lineare di Landau e la convergenza verso l’equilibrio dell’equazione di Boltzmann ». Ed è a questo punto che i lettori interessati al lavoro, e non solo alla vita, dei matematici avrebbero desiderato di saperne qualcosa di più. Ma lui non ci prova nemmeno a spiegar loro di cosa si tratta, all’insegna del motto che certe cose «intender non le può chi non le prova ». E si limita a inserire nel libro molte mail scambiate con il suo coautore nel corso della ricerca, e varie pagine di alcune bozze del suo lavoro: tutte completamente inutili, eccetto che per coloro per i quali sono superflue.
Peccato, perché entrambi gli argomenti sarebbero stati degni di approfondimento. Si tratta, infatti, di due problemi centrali dell’elettromagnetismo e della termodinamica: cioè, delle due discipline fondamentali della fisica dell’Ottocento, che evidentemente non erano ancora ben comprese neppure dopo un secolo. Entrambi i problemi riguardano il modo in cui i sistemi elettromagnetici o termodinamici evolvono verso la stabilità: nel caso dell’equazione di Boltzmann, il famoso stato di massima “entropia” o di massimo “disordine”, previsto dalla seconda legge della termodinamica. E i risultati di Villani mostrano il modo preciso in cui questa evoluzione avviene.
Ma probabilmente egli non ha voluto correre il rischio di dover spiegare ab initioi fondamenti delle due discipline, per poter arrivare ad accennare ai suoi risultati soltanto nelle ultime pagine, come troppo spesso fanno gli stereotipati libri di divulgazione anglosassoni. Prodotti che sfamano lo stomaco, come il pane o i formaggi dei supermercati statunitensi, ma che non elevano lo spirito, come quelli che si trovano nelle panetterie e nelle formaggerie francesi: ad esempio, quella descritta dal Calvino di Palomar nel racconto Il museo dei formaggi.
Villani ha dunque preferito mantenere la matematica divulgativa sullo sfondo del suo libro e relegarla alle impressionistiche vignette sui matematici che lo hanno ispirato e ai quali si sente affine. Boltzmann e Landau, anzitutto, ai quali ha dedicato la sua ricerca. Ma anche il suo eroe John Nash, che egli giustamente ricorda non come lo schizofrenico protagonista del film A Beautiful Mind, ma come uno dei più grandi matematici del Novecento. O André Weil, l’eminenza grigia della matematica francese dello stesso secolo, del quale Villani ricorda il motto: «Il piacere della matematica è simile a quello del sesso, eccetto per il fatto che dura più a lungo».
E se c’è qualcosa che traspare, e che rimane, dalla lettura di Il teorema vivente, è appunto questa sensazione di piacere quasi sessuale per il pensiero in generale, e la matematica in particolare. Se l’eccitazione e l’entusiasmo di Villani potessero essere trasmessi ai giovani e agli studenti, oltre che ai lettori del suo libro e ai visitatori del suo sito (cedricvillani.org),
il mondo sarebbe sicuramente molto diverso, e probabilmente molto migliore.