Paolo Mastrolilli, La Stampa 16/4/2013, 16 aprile 2013
PULITZER LANCIA IL GIORNALISTA MULTIMEDIALE
Quest’anno è andata sul sicuro, la giuria dei premi Pulitzer per il giornalismo. Quattro medaglie al New York Times , tra cui la politica estera; una al Wall Street Journal , per gli editoriali; una al Washington Post , per la critica. E riconoscimenti quasi scontati, tipo quello al Denver Post per la copertura della strage di Aurora. Ha dato anche il premio per la fiction al romanzo sulla Corea del Nord The Orphan Master’s Son di Adam Johnson, mentre la scelta più eccentrica è quella per il National Reporting al sito ambientalista di Brooklyn InsideClimate News.
Eppure alla School of Journalism della Columbia University, che assegna i Pulitzer, è in corso una rivoluzione. Il preside uscente, Nick Lemann, l’ha illustrata sabato, durante l’ultimo incontro annuale con gli ex alunni prima di passare la mano a Steve Coll. «I giornali - ha detto - sono in cerca di un nuovo modello. Anche le scuole devono trovare il proprio, per rispondere alle esigenze del mercato». Dopo due anni di discussioni la Facoltà ha cambiato il programma, che dal prossimo agosto non includerà più il corso di RW1, ossia la pietra angolare su cui per oltre un secolo si è retta la scuola fondata da Joseph Pulitzer. RW1 significa Reporting and Writing 1, ossia l’abc del giornalismo: come raccogliere le informazioni per un articolo, e come scriverle.
Per decenni, dalla preistoria delle macchine per scrivere e del piombo, gli allievi si sono rotti la testa e le ossa sugli assignment più affascinanti e complicati. A me capitò che una mattina il mio professore, Wayne Svoboda, mi dicesse: «Vai di corsa all’aeroporto Kennedy, tra due ore ti aspetta Gorbaciov per un’intervista». A una collega norvegese, ovviamente bionda e con gli occhi azzurri, successe una cosa molto più estrema, ai limiti della denuncia penale: il suo professore le ordinò di andare di notte con la macchina fotografica all’angolo di una pericolosa strada del Bronx, per documentare tutto quello che accadeva dal tramonto all’alba con scatti continui. Sopravvisse, non so come.
Tutto questo si farà ancora, perché le basi del buon giornalismo non cambiano, anche se sono cambiati i mezzi con cui lo comunichiamo. Però avrà un altro nome, e sarà legato alla capacità di ogni studente di esprimersi con qualunque tipo di media: scrittura, foto, video, audio, da stampare sulla carta, offrire su Internet e social network in tutte le loro forme, trasmettere in televisione o radio. L’allievo diventerà una macchina in grado di funzionare in qualunque situazione e qualunque newsroom, inclusa quella di casa propria, visto che ormai ogni blogger è una testata con infinite possibilità editoriali e commerciali. Michael Rosenblum, laureato a Columbia nel 1983 e fondatore delle televisioni NY1 e Current, si spinge anche oltre: «L’università dovrebbe insegnare agli studenti come diventare imprenditori di se stessi nel giornalismo, perché il futuro è questo. Non siamo più artigiani, ma professionisti. I media dove si passa tutta la vita non esistono più: ogni giornalista deve diventare un’impresa autonoma, capace di essere sostenibile e fare profitti».
Il problema del modello economico, che all’inizio ha colpito soprattutto i giornali mettendo in dubbio la sopravvivenza dei fogli cartacei, adesso sta contagiando anche tv e siti. Reggono i quotidiani locali, molto locali, perché sono insostituibili, e i siti nati intorno a un’idea particolare e attraente, che hanno costi molto ridotti. Quasi tutto il resto è in cerca di una direzione, oltre i paywall che funzionano fino a un certo punto. Alcuni dicono che il futuro dei soldi veri sta nelle online transaction e nell’e-commerce. Infatti alcune testate stanno già trasformando i loro siti anche in portali per il commercio. Clicchi su una pubblicità e puoi comprare direttamente il prodotto.
I grandi gruppi del settore tecnologico sono tutti sbarcati o stanno sbarcando in quello dei contenuti. Microsoft sta avviando un progetto, Facebook lo stesso, Yahoo già lo ha. I media tradizionali cercano di agganciarli per fornire i contenuti, risparmiandogli la fatica di creare dal nulla le strutture informative. Questi grandi gruppi sono disposti a spendere nel campo dell’informazione, anche se non dà ritorni: guadagnano montagne di soldi con altri business, accettano di perdere cifre relativamente basse pur di avere i contenuti. Il New York Times , e vari altri giornali, organizzano conferenze a pagamento sui temi di attualità che coprono e su cui hanno una expertise particolare. Il prezzo sale a seconda dell’esclusività della conferenza e del tipo di accesso offerto. Vengono invitati anche gli sponsor, che fanno pubblicità diretta durante il convegno e poi sul giornale, raggiungendo il pubblico specifico a cui sono più interessati. Si moltiplicano anche le raccolte degli articoli pubblicati su temi di particolare interesse e attualità, ma molti giornali ormai offrono questi e-book solo a pagamento.
Basterà a far sopravvivere il mestiere e l’industria? La risposta data dalla Columbia assegnando i Pulitzer di ieri è che la qualità resta la dote vincente del giornalismo, comunque si esprima.