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 2013  aprile 16 Martedì calendario

QUEL CIRCOLO VIZIOSO CHE PENALIZZA LE AZIENDE

Oltre al danno, la beffa. Gli italiani in questi anni di crisi sono stati molto generosi con le loro banche: dal dicembre 2011 a oggi – secondo i dati Abi – non solo non sono fuggiti, ma hanno anzi depositato sui conti correnti 73 miliardi di euro in più. Peccato che le stesse banche li abbiano "ringraziati" con 41 miliardi di euro di crediti in meno. E anche i soldi presi in prestito dalla Bce, 255 miliardi, sono andati ovunque tranne da chi ne aveva veramente bisogno: famiglie, imprese e Pmi.
di Morya Longo e Fabio Pavesi A guardare questi dati, insomma, si può affermare che le banche italiane se la siano presa con gli unici che non le hanno mai abbandonate in questi anni: gli italiani. Se questo accade, però, non è per cattiva volontà o cecità. Ma per un mix di fattori – economici, psicologici e regolamentari – che le ha ingessate. Ha legato loro le mani. E quelle dell’Italia intera. La motivazione principale per cui gli istituti di credito in Italia (ma non solo) erogano poco a imprese e famiglie non va cercato nella mancanza di soldi (in realtà la liquidità grazie alla Bce è abbondante), ma nella scarsità del capitale. Più l’economia rallenta, infatti, più imprese e famiglie faticano a rimborsare i mutui: i crediti in sofferenza sono infatti aumentati in Italia del 38% in due anni, arrivando a 126 miliardi di euro. Questo causa gravi perdite alle banche e va ad erodere il loro capitale: per ora gli istituti reggono, ma in prospettiva – se la recessione dovesse perdurare – le banche potrebbero soffrire ulteriormente. Questo timore le blocca: per "prudenza", e in attesa di smaltire le sofferenze pregresse, preferiscono dunque non erogare credito a imprese e famiglie. Ma così si aggrava la recessione. Anche perché le regole di Basilea le incentivano a comprare titoli di Stato piuttosto che a prestare soldi all’economia reale: per ogni euro di finanziamento erogato a famiglie e imprese, le banche devono infatti "mettere da parte" una percentuale di capitale. Erogare credito, insomma, "consuma" una risorsa scarsa come il capitale. E se il credito va a male, diventando in sofferenza, il "consumo" diventa maggiore. Per contro, invece, le stesse regole di Basilea prevedono che le banche possano comprare tutti i titoli di Stato europei che vogliono, senza "consumare" un euro di capitale. Solo con Basilea 3, che però entrerà in vigore nei prossimi anni, le perdite di mercato sui titoli di Stato avranno un impatto sul capitale (come accaduto negli stress test), ma per ora non è così. Morale: avendo abbondante liquidità (grazie alla Bce) ma consumando capitale per le sofferenze, le banche sono più incentivate a comprare titoli di Stato che a erogare credito. È così che i soldi della Bce sono andati quasi tutti lì: nei titoli di Stato. Gli istituti italiani, tra dicembre 2011 e febbraio 2012, hanno preso in prestito da Francoforte 255 miliardi di euro e da allora hanno comprato 131 miliardi di euro di BTp. Nell’intera Europa la Bce ha erogato mille miliardi, ma 291 miliardi sono serviti alle banche per comprare titoli di Stato, 245 miliardi sono già stati restituiti e 462 miliardi sono tutt’ora depositati nei conti della Bce. Morale: dell’immensa liquidità, facendo un calcolo a spanne da prendere con le pinze, ben poca è confluita a famiglie e imprese. Il problema è che il gatto si morde la coda. Se si aumenta a dismisura la quota di titoli di Stato in portafoglio, infatti, si finisce per limitare ulteriormente la capacità di erogare credito. E quell’incetta di oltre 131 miliardi di titoli della Repubblica italiana ha sbilanciato gli attivi delle banche. Soprattutto per quelle piccole e medie, che hanno visto aumentare la quota di BTp in portafoglio del 30% in alcuni casi, fino al 100% in altri. Questo ha dato alle banche uno "zuccherino" immediato: ha permesso loro di registrare utili da negoziazione (perché si sono indebitate in Bce a tassi bassi e hanno comprato titoli con tassi alti), ma ha frenato ulteriormente il credito. Il problema non è però solo la quantità di credito erogato, ma anche il tasso d’interesse. Se i correntisti italiani hanno dato fiducia al sistema bancario, e questo ha contribuito a tenere basso il costo della raccolta alla clientela (fermo al 2%), le banche non hanno ripagato gli italiani con la stessa magnanimità: il tasso medio dei finanziamenti alle imprese, come rileva Bankitalia, è pari al 3,5%. Ma è solo la media del pollo di Trilussa: un prestito fino a un milione di euro a 5 anni ha un tasso del 6%, il credito al consumo è addirittura sopra il 9%. Insomma: le banche chiedono un margine di profitto alle imprese che vale anche 4 punti percentuali sui loro impieghi. Come se la crisi non ci sia mai stata. Un modo elegante per allontanare quella poca domanda di credito che ha provato a bussare agli sportelli.