Massimo Gaggi, Corriere della Sera 16/04/2013, 16 aprile 2013
IL FANTASMA CHE TORNA
Cielo blu e sole abbagliante: in una mattinata tersa come quella dell’11 settembre 2001 l’America ripiomba nell’incubo del terrorismo. Le esplosioni all’arrivo della maratona di Boston fanno almeno due morti, decine di feriti, ma nulla di comparabile al crollo delle Torri Gemelle. Eppure i marciapiedi insanguinati di Copley Square sono una mazzata psicologica per un Paese che fin qui aveva constatato quasi con sorpresa di essere riuscito, per oltre 11 anni dopo l’attacco di Al Qaeda, a sventare ogni minaccia terroristica.
Da Times Square ai tunnel sottomarini che collegano Manhattan alla terraferma, gli allarmi, gli attacchi sventati, sono stati, in questi anni, innumerevoli. La mobilitazione permanente. I controlli minuziosi, esasperanti, hanno evitato tragedie durante le campagne elettorali, nei grandi raduni politici. Ma non tutto è difendibile con la stessa efficacia: un aeroporto è blindato, una piazza si può sigillare. Controllare i 42 chilometri del percorso di una maratona è praticamente impossibile. E i pericoli, in un Paese attraversato da mille tensioni, che è bersaglio del terrorismo internazionale, ma deve difendersi anche da molti gruppi di estremisti e da sette fanatiche, sono davvero imprevedibili.
L’attacco a Boston è un pugno sul volto di un combattente che si era appena rilassato. Per anni tutto è stato controllato minuziosamente: le compravendite di fertilizzanti agricoli che potevano essere usati per produrre esplosivi come la distribuzione del gas nei condomini delle grandi città, coi portieri dei grattacieli trasformati in una sorta di poliziotti in borghese.
Ma la mobilitazione non può essere permanente e non tutto può essere controllato in un Paese libero, nel quale, oltretutto, armi da fuoco e munizioni possono essere liberamente comprate e vendute da chiunque su gran parte del territorio nazionale.
Ieri nel mirino è finita una maratona. Non la più celebre, quella di New York, che è la più internazionale, la più vista nel mondo, ma anche la più sorvegliata. È stata colpita un’altra manifestazione, meno protetta ma, per certi versi, ancor più simbolica. Perché la maratona di Boston, che si corre in un lunedì di aprile, nel giorno in cui lo Stato del Massachusetts celebra il suo Patriot’s Day, le battaglie di Lexington e Concord, le prime della guerra per l’indipendenza delle colonie americane dall’impero britannico, è una grande festa popolare nella quale vengono tradizionalmente coinvolti in misura massiccia anche i veterani.
Quest’anno, poi, l’ultimo miglio della gara era stato dedicato ai bambini e agli insegnanti vittime della strage di Newtown: il villaggio del Connecticut nel quale quattro mesi fa un folle fece una strage in una scuola elementare.
«Abbiamo corso in un’atmosfera straordinaria, gente festante ovunque, più che a New York — racconta Aldo Uva, un manager italiano che ha tagliato il traguardo della maratona nove minuti prima dell’esplosione —. Intorno a me, all’arrivo, c’erano diversi ex combattenti tornati dall’Iraq e dall’Afghanistan che la gente di quelle tribune salutava con particolare calore. Non so se questo sia stato un fattore. Certo controlli di sicurezza ce ne erano pochi anche per gli atleti. E nell’area di arrivo poteva entrare anche il pubblico, cosa impossibile a New York».
Adesso comincia la ricerca e l’America si chiede se è stata colpita da terroristi stranieri che i suoi servizi di intelligence non sono riusciti a stanare, da una mente folle o da qualche cellula di estremisti fanatici come i «white supremacist»: gruppi che credono nella supremazia della razza bianca. E che in passato qualcuno ha associato alle frange più estreme dei Tea Party. Movimento che ha proprio in Boston la sua città simbolo, visto che è da qui che partì la rivolta del tè contro gli inglesi.
Smarrimento, un nuovo incubo, misure di sicurezza come la momentanea chiusura dello spazio aereo sopra New York che testimoniano del panico nel quale è precipitata una nazione impreparata a questa nuova tragedia. Da sempre chi deve garantire la sicurezza del Paese teme un attacco a luoghi simbolici e inermi come Disneyland. Una strage per mostrare agli americani che non possono sentirsi sicuri in nessun posto, nemmeno in mezzo alle favole della loro infanzia.
In qualche modo prendere di mira la manifestazione di Boston può avere lo stesso impatto. Questa maratona non è solo, di fatto, la più antica del mondo. È anche quella meno commerciale, più vicina allo spirito olimpico. Quella che ricorda più da vicino l’evento storico che ha dato origine a questo tipo di manifestazioni. A differenza di quelle di New York, Londra o Berlino, non ha grandi sponsor, proprio perché si è cercato di mantenere più intatto possibile il suo spirito olimpico. E solo le ultime quattro miglia si svolgono in città. La gara parte da Hopkinton, nella campagna del Middlesex, un villaggio che dista da Boston quasi quanto il paese di Maratona è lontano da Atene.
Un altro efferato attacco del terrorismo internazionale? Si diffondono voci dell’arresto di un sospetto di origini saudite. Ma arrivano subito gli inviti a non inoltrarsi lungo piste che non sono state verificate. Altri elementi come la portata limitata dell’attacco, lo strano momento scelto per far detonare le bombe — due ore dopo l’arrivo dei corridori più veloci e quindi quando una parte del pubblico era già defluita — e il fatto che sarebbero stati rinvenuti altri ordigni inesplosi, fanno pensare a qualcosa di organizzato sì, ma non al lavoro di terroristi addestrati in una scuola militare: semmai, forse, qualcosa di più dilettantesco.
E questo può avvicinare la pista di un gruppo di fanatici estremisti americani. E qui la memoria va alla strage del camion- bomba di Oklahoma City. Per adesso dagli inquirenti non vengono elementi significativi. Anzi, le prime informazioni parlano di reazioni forse affrettate: gli altri ordigni dei quali si è parlato non sarebbero bombe la cui esistenza è stata provata ma semplicemente pacchi sospetti che la polizia, nell’incertezza, ha fatto saltare con una carica esplosiva. Evidentemente non c’erano il tempo o i mezzi per mandare in avanscoperta un robot-artificiere.
Si ricercano anomalie ed elementi che potrebbero avere qualche significato. Un maratoneta, ad esempio, aveva notato, a un miglio dall’arrivo, un grande cartello che col suo duro messaggio — «la peggior parata di sempre» — stonava con l’atmosfera di grande festa che si respirava ovunque tra il pubblico. A moltiplicare i timori di un massacro concepito da altri americani è arrivata, due ore dopo lo scoppio delle bombe, un’altra piccola esplosione, senza vittime né feriti nella Kennedy Library, il grande edificio vetrato costruito sempre a Boston, sulle rive dell’Oceano, per celebrare JFK, il presidente degli Stati Uniti assassinato a Dallas mezzo secolo fa. Ma questa pista ha ben presto perso consistenza: la piccola esplosione pare che fosse dovuta a un incendio, probabilmente non doloso.
Voci e smentite si accavallano nelle prime ore dopo questa nuova tragedia americana. Moltiplicando i fantasmi tra i quali si aggirano gli inquirenti e l’angoscia di un popolo.
Massimo Gaggi