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 2013  aprile 15 Lunedì calendario

LI KA SHING TRA TELECOM E TELEFONICA LA CARTA DI BERNABÈ PER USCIRE DALLO STALLO

Siamo di fronte a una nuova clamorosa svolta per Telecom Italia? Sembrerebbe di sì, ma non solo per il fatto che storicamente quasi ogni cambio di governo è coinciso con un passaggio di proprietà per la principale società di telecomunicazioni italiana. Era avvenuto nel 1999 quando con l’avvento del governo D’Alema i capitani coraggiosi guidati da Roberto Colaninno si erano lanciati nella scalata più grande e costosa mai fatta in Europa. Ma anche nel 2001, quando Berlusconi tornò a guidare l’esecutivo, la Telecom cambiò padrone: la razza padana di Colaninno e Gnutti lasciò il passo alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera spalleggiato dalla famiglia Benetton e dalle banche di sistema, Intesa e Unicredit. Epico fu poi lo scontro del settembre 2006 tra lo stesso Tronchetti e il governo Prodi, in carica da pochi mesi. U no scontro sulla vendita di Tim e il possibile scorporo della rete fissa che si consumò in Parlamento e portò alle dimissioni di Tronchetti dalla presidenza e alla successiva vendita, avvenuta nel maggio 2007, del controllo di Telecom Italia a una formazione mista composta da Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali che per l’occasione imbarcarono nell’avventura gli spagnoli di Telefonica, il principale operatore europeo di tlc con forti interessi in America Latina. Sul finire del 2007 il timone della Telecom italo-spagnola viene affidato a Franco Bernabè e nell’aprile 2008 Berlusconi torna al governo per la terza volta. Si arriva
così ai nostri giorni, con il paese immerso in un nuovo difficile passaggio elettorale, un governo non ancora trovato e la Telecom che deve valutare se diventare in parte cinese, vista l’operazione che il colosso Hutchison Whampoa sta proponendo ai grandi azionisti della società italiana. Un’operazione che è stata cercata e sollecitata da Bernabè nell’intento di risolvere l’impasse sia operativo che societario che l’azienda sta attraversando. Purtroppo i rapporti personali e di fiducia tra il manager di Vipiteno e i suoi azionisti sono andati deteriorandosi nel corso degli ultimi due anni e dunque l’operazione con H3G e il parallelo scorporo della rete fissa rischiano di naufragare in un nuovo nulla di fatto lasciando tutto senza strategie e prospettive. Ma analizzando la situazione cercando di mantenere un oggettivo distacco dai fatti personali l’opzione H3G potrebbe in effetti rappresentare una soluzione strutturale e di lungo periodo per una Telecom il cui peccato originale è da ricercarsi nelle modalità di privatizzazione adottate dal governo Prodi nel 1997, quando occorrevano soldi per entrare nell’euro e non si badò tanto alle conseguenze di mercato privatizzando totalmente e integralmente una Telecom allora ricca di flussi di cassa e di una rete fissa strategica per il paese. Oggi, a 16 anni di distanza da quella privatizzazione pensata male, Telecom è in una situazione molto diversa e molto più fragile di allora, praticamente alla mercè degli spagnoli di Telefonica. Vediamo perché. Il passaggio di proprietà del 2007, purtroppo, è avvenuto appena prima che scoppiasse la grande crisi finanziaria che ha ridimensionato drasticamente tutti i valori delle società quotate in Borsa. Le banche italiane e gli spagnoli allora comprarono a un prezzo, tra 2,7 e 2,9 euro per azione, che di lì a poco ha cominciato a sgonfiarsi perché figlio della bolla che imperversò sui mercati dal 2001 al 2007. I banchieri di Mediobanca, Renato Pagliaro e Alberto Nagel, quelli di Intesa, Giovanni Bazoli e Corrado Passera, i vertici di Generali, Antoine Bernheim e Giovanni Perissinotto, più il capo supremo di Telefonica, Cesar Alierta con il suo vice Julio Linares, tutti costoro presero un grande abbaglio nel decidere di investire in Telecom in quel momento e sul valore, eccessivo, a cui è stato fatto quell’investimento. Con una grande differenza, però, tra italiani e spagnoli. Per Mediobanca, Intesa e Generali si trattava di un investimento finanziario e, per così dire, di sistema, cioè volto a dare un assetto stabile e italiano a una grande azienda che arrivava da un decennio a dir poco tormentato. Mentre per Telefonica vi era un interesse strategico e industriale nel diventare azionista di spicco di una società che era, ed è tutt’oggi, direttamente concorrente nei principali mercati dell’America Latina, Brasile e Argentina. In pratica l’interesse di Alierta, consigliato nel deal da Gabriele Galateri, suo compagno di università e nel 2007 presidente di Mediobanca e oggi di Generali, è sempre stato quello di impedire che le ricche partecipazioni sudamericane di Telecom finissero in mani nemiche, come quelle del miliardario Carlos Slim o degli americani di At&t. E questo obbiettivo è stato pienamente raggiunto dagli spagnoli, come risulta dal fatto che oggi senza il loro consenso non è possibile alcuna operazione o passaggio di mano di Telecom. Telefonica ha il diritto di prelazione se i soci italiani decidessero di vendere e potrebbe essa stessa prendere il controllo dell’azienda italiana. Ma in realtà a Telefonica non interessa investire altre risorse finanziarie, oggi scarse, in Italia. Agli spagnoli conviene che le cose restino come sono, che Telecom resti senza strategia di lungo periodo, con le mani legate dietro la schiena mentre il resto del mondo si muove a gran velocità. Oggi Telefonica è in perenne conflitto di interessi con Telecom e muoverà le sue pedine - il fido Galateri in primis – per far naufragare un eventuale accordo con Li KaShing. Il fatto che nel comitato ristretto che dovrà valutare l’operazione con i cinesi sia stato inserito anche Linares, rappresentante di Telefonica in consiglio, è una chiara dimostrazione di conflitto di interessi incombente. Ormai pare assodato che con gli spagnoli in questa posizione di blocco la Telecom muore e dunque i soci italiani dovrebbero riconoscere l’errore fatto nel 2007 e divincolarsi dalla morsa: se Telefonica vuole continuare a esercitare la sua influenza sul concorrente italiano deve comprarsela tutta mettendo sul piatto i soldi. L’offerta di H3G a 1,2 euro potrebbe essere un’occasione imperdibile per mettere gli spagnoli alle strette: prendere tutto o lasciare. Tuttavia, come si diceva all’inizio, i soci italiani di Telecom nutrono ormai molta diffidenza nei confronti delle capacità di Bernabè nel risollevare la situazione. Gli imputano i guai di una gestione molle, senza una squadra manageriale all’altezza, volta solo a trascinare nel tempo situazioni che andavano risolte prima e più tempestivamente come lo scorporo della rete oggetto di un tira e molla estenuante. Il rinnovo del suo mandato avvenuto nella primavera 2011 è avvenuto obtorto collo, facendo crescere Marco Patuano che nelle loro intenzioni doveva rappresentare una svolta nella gestione della telefonia mobile in Italia essendo giovane e “con il coltello tra i denti” per fare quelle offerte commerciali in grado di contrastare la fase calante. L’altro astro nascente su questo fronte, Luca Luciani, fortemente sponsorizzato dalla componente Generali, è incappato in una serie di irregolarità che lo hanno estromesso dall’azienda. Inoltre a Bernabè viene imputato dagli azionisti di aver portato avanti una gestione troppo poco finanziaria, di taglio ai dividendi e di mancate operazioni straordinarie che avrebbero almeno portato nelle casse delle banche ricche commissioni. L’ultimo affronto è avvenuto con la vendita de La7al gruppo Cairo invece che ai fondi Clessidra sponsorizzati da Mediobanca e Intesa. Insomma Bernabè è un capoazienda non controllabile e che non fa gli interessi dei grandi azionisti, per cui è da rimuovere anche se l’alternativa non è ancora stata individuata e nessuno si è ancora preso questa responsabilità. In realtà un’analisi più oggettiva della situazione porta a dire che Bernabè si è trovato di fronte una situazione a dir poco difficile: la Telecom ereditata dalla scalata di Colaninno e dai sei anni non meno avventurosi di Tronchetti, presentava nel 2007 ben 37 miliardi di debiti lordi e 40 miliardi di avviamenti. Una presenza all’estero limitata al Sudamerica e un mercato interno che cominciava a scricchiolare. La battaglia al ribasso sui prezzi per i consumatori innescata dalla presenza di quattro operatori mobili sul mercato italiano dal 2007 in poi è stata devastante per i bilanci dei big delle tlc. A ciò si aggiunga che i manager scelti da Bernabè non si sono dimostrati all’altezza, ma anche che grazie a una importante politica di lobbying sulle authority le tariffe sulla rete fissa hanno in parte tamponato le perdite di marginalità sul mobile con grande arrabbiatura dei concorrenti, che il debito è diminuito di circa 10 miliardi, che sono stati fatti tagli al personale ma non dolorosi e in sintonia con i sindacati, che la politica di investimenti, cruciali per il paese in una fase di recessione, è stata mantenuta su alti livelli. Tutto ciò a scapito dei dividendi agli azionisti e dell’andamento del titolo in Borsa. Oggi Telecom nonostante tutto fa ancora 2,5 miliardi di utile al netto di svalutazioni straordinarie e l’idea di Bernabè per risolvere i problemi è quella di accelerare sullo scorporo o vendita della rete fissa stringendo un accordo con la Cassa Depositi e Prestiti. In questo modo la strategicità della rete verrebbe preservata rimediando all’errore di Prodi del 1997, mentre si offrirebbe a Telefonica e ai soci italiani una via d’uscita comunque onorevole attraverso l’offerta di H3G. L’integrazione di 3 in Telecom avrebbe inoltre l’evidente vantaggio di eliminare un concorrente scomodo dal mercato acquisendone in parte i clienti (la metà dei clienti 3 è fatta da postpagati, dunque stabili) e beneficiando di una minor pressione al ribasso sui prezzi. Da quando sono uscite le prime indiscrezioni sulla stampa il titolo Telecom ha guadagnato il 15%, segno che l’operazione potrebbe avere un senso anche per il mercato. Ma i soci italiani rimangono scettici e giudicano l’opzione H3G una sorta di tattica di Bernabè per salvare la sua poltrona. Le prossime settimane diranno chi ha ragione. Nei grafici qui sotto, l’andamento del titolo Telecom Italia in piazza Affari. Il titolo viaggia da mesi su valori particolarmente depressi, ma negli ultimi giorni, sulla scorta delle prime notizie relative all’operazione H3g, ha recuperato circa il 15% A lato, Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom Italia. Un comitato lo affiancherà nella valutazione dell’offerta di H3G Italia 1 2 3 Qui sopra, Cesar Alierta (1) ad di Telefonica; Mario Greco (2) ad di Generali, Alberto Nagel (3), ad di Mediobanca Nella foto, Li Ka-Shing, ceo di Hutchison Whampoa