Danilo Taino, CorrierEconomia 15/04/2013, 15 aprile 2013
MERCATI. L’OMBRA LUNGA DI MRS. THATCHER
Furono anni belli, per l’economia dell’Occidente, gli Ottanta e Novanta. Il mondo si liberava di vecchie idee che impedivano la crescita e la libertà. Le barriere protezioniste cadevano, nei commerci e nei movimenti dei capitali e delle persone. Nuovi mercati — Cina, India, poi il mondo ex sovietico — iniziavano ad aprirsi. Le scoperte scientifiche e tecnologiche spingevano verso un mondo interconnesso e globale.
La discussione
Margaret Thatcher e il suo amico Ronald Reagan furono al cuore di questa grande ondata di rinnovamento. Due conservatori rivoluzionari. Ai quali seguirono, sia in Gran Bretagna sia in America, due leader di sinistra, Tony Blair e Bill Clinton, che colsero la necessità di non fermare il cambiamento. Nei due decenni, gli errori non mancarono. La morte, la settimana scorsa, di Lady Thatcher ha però mostrato che su quel periodo, e soprattutto sulla Signora di Ferro, continuano a piovere più pregiudizi che analisi fondate.
Ai critici più insistenti e più seri della Iron Lady — non a Ken Loach, insomma — è di fatto rimasta un’argomentazione. Le altre si è occupata di risolverle la storia degli scorsi vent’anni. Sulle privatizzazioni, sulle liberalizzazioni dei mercati e sulla fine degli Stati che regolano i prezzi nessuno oggi ha da obiettare seriamente. Al sistema corporativo e paternalistico formato da Stato invadente e sindacati onnipotenti non c’è possibilità di tornare. Sul rifiuto di fare entrare la Gran Bretagna nell’euro è difficile criticare oggi la Lady di Ferro: ha risparmiato a Londra le pene di trovarsi senza una propria politica monetaria nel pieno della crisi. Sul contributo della Signora Thatcher alla fine della Guerra Fredda non ci sono dubbi. Sulla buona idea di mandare le navi contro i dittatori argentini dopo l’invasione delle Falkland nemmeno. E sull’idea che una Germania riunificata fosse troppo forte per il Vecchio Continente si può dire che la posizione della Iron Lady fosse storicamente destinata a fallire: ma sta di fatto che la sua analisi, secondo la quale non sarebbero stati l’Europa e l’euro a europeizzare la Germania ma la Germania a germanizzare l’Europa, si è sostanzialmente realizzata.
Crisi e deregulation
L’ultima argomentazione che rimane ai critici del thatcherismo è dunque che la deregulation introdotta tra Gran Bretagna e Stati Uniti negli anni Ottanta è alla radice della Grande Crisi scoppiata nel 2008. In particolare, si sostiene che la diminuita regolazione dei mercati finanziari ha consentito il correre della speculazione, la nascita di prodotti finanziari impossibili da controllare e l’incapacità di valutare i rischi da parte di un gran numero di banche. Questa critica chiama in causa l’analisi della grande crisi. Discussione che andrà avanti per anni e anni. Alcuni punti fermi, però, possono probabilmente essere messi.
Il primo è che la deregulation finanziaria negli anni Ottanta era inevitabile. L’Occidente era andato avanti per decenni in un sistema di controllo dei movimenti di capitale: quando si decise di smantellare le restrizioni, con lo scopo di allargare e rendere più efficienti i mercati, diventò necessario e conseguente permettere che la finanza si adeguasse al nuovo mondo. Il secondo è che la liberalizzazione dei commerci portata avanti prima nel Gatt e poi nella Wto aveva bisogno di finanza sempre più sofisticata, per coprire i rischi legati agli scambi globali (variazioni nei tassi d’interesse e nel mercato dei cambi) e per finanziare i Paesi emergenti che vedevano l’opportunità di crescere velocemente. Terzo, per dare maggiore efficienza ai mercati finanziari stessi, in grande crescita, era necessario lasciare che essi creassero pratiche e strumenti per garantire liquidità e quindi la maggiore trasparenza possibile dei pezzi.
A formare le premesse della crisi, al contrario, fu probabilmente l’incontro di due forze non di mercato. La prima, l’enorme liquidità immessa nel sistema globale dalla Fed di Alan Greenspan, che in questo modo tenne in vita e alimentò bolle fino a quando queste scoppiarono con grandi danni. La seconda fu la formazione di entità finanziarie — le grandi banche che non possono fallire — intrecciate a doppio filo con governi e Stati, soprattutto dopo che, alla fine degli anni Novanta, la distinzione tra banche commerciali e d’investimento fu abolita. Più che la deregulation thatcheriana, insomma, fu forse la cattiva regulation della Fed e del governo di Washington a distorcere i mercati e a mandarli in confusione.
Danilo Taino