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 2013  aprile 15 Lunedì calendario

SARA, LA SIGNORA DELL’ALTO "CASALINGA NON DISPERATA"

Sara Simeoni compie sessant’anni il 19 aprile. Nella sua casa-villa-cascina di Rivoli Veronese ci saranno 70 invitati alla festa, fra parenti e amici, gente non necessariamente del mondo dello sport. Ha due sorelle «più grandi, più vecchie non si dice», e un fratello «più piccolo». Cucinerà lei, aiutatissima. Voleva offrire l’asparago bianco, specialità delle sue terre anche nel senso letterale perché cresce tutto sottoterra, ma con una simile massa di persone non si può pensare a una cucina raffinata.

Sono sessant’anni felici e rabbiosi, di quella rabbia sana e dura che lo sportivo si coltiva dentro, e se del caso sparge fuori, quando sa che potrebbe ancora fare e dare molto, ma sa pure che non lo vogliono più, perché urgono forza e soprattutto facce nuove, perché si fanno giochi che passano sopra di lui, insomma perché sì, è la vita. «Primo Nebiolo il presidentone aveva inventato, credo proprio per me, il Progetto Italia, con noi vecchi atleti, diciamo pure vecchi campioni, usati per fare propaganda allo sport e insegnare praticarlo nella maniera giusta. Morto Nebiolo è finito il progetto, ed è stata fatta sparire quella Sara Simeoni. Sei anni e amen, anzi requiem. Ad un certo punto ho pensato che chiunque sarebbe andato bene, purché non si trattasse di me. E adesso non riesco a pensare a un recupero, ormai si è rotto qualcosa».

«Faccio l’insegnante, ho la cattedra di scienze motorie all’università di Chieti, città molto votata allo sport, e nel tempo abbondante che mi rimane fra un viaggio e l’altro faccio la casalinga, assolutamente non disperata, e siccome accade che la casa mi stia stretta faccio anche la contadina, la giardiniera, l’allevatrice di polli». Erminio Azzaro, il marito, ex saltatore in alto pure lui, insegnante di educazione fisica in pensione, ha 65 anni. «Noi due facciamo anche i genitori del nostro figlio Roberto, che ha ventidue anni e mezzo ed ha smesso di fare salto in alto seriamente, anche se prometteva eccome. Era salito a 2,15, si è disamorato perché sinceramente ma ingenuamente sperava in cose troppo belle e grosse, e a un certo punto si è trovato come avvolto in una nebbia di delusione assoluta. Però se lo chiamano per il campionato di società, a portare punti al suo club, come è accaduto in questi giorni, dice di sì, tanto per non arrugginirsi». Sensazione nostra che Roberto abbia in qualche modo dovuto pagare, se non altro nelle attese invidiosette, il fatto di essere figlio di Sara, ma è giusto che riserbo e casomai mistero restino.

La casalinga per niente disperata fa anche bellissimi viaggi con Erminio, Roberto e amici assortiti. «In fuoristrada abbiamo percorso tutta l’Albania. Siamo anche andati in giro per la Polonia. E io ho voluto tornare a Praga, la città dove ho vinto il titolo europeo».

Nella Mosca olimpica, quella del 1980, l’hanno fatta tornare idealmente nei giorni scorsi. Lei vinse l’oro per un’Italia che partecipava senza ufficialità, sotto la bandiera del Cio, lasciando a casa gli atleti militari per aderire in qualche modo (contorto, acrobatico, ipocrita) all’invito statunitense di boicottare quei giochi, come protesta verso l’Urss che aveva invaso l’Afghanistan. L’Italia dell’atletica vinse anche i 200 con Mennea e la marcia con Damilano. «Ho detto in qualche intervista che ricordavo l’inno di Mameli nello stadio Lenin, però devo essermelo cantato dentro, perché poi mi hanno fatto ricordare che la squadra azzurra gareggiava in quell’Olimpiade senza stare sotto la bandiera tricolore e dunque aveva rinunciato a priori all’inno. Non credo di avere falsato la storia, io mentre mi premiavano cantavo il mio Fratelli d’Italia, così voglio ricordare e ricordarmi».

Sara - torniamo al suo presente non vuole fare del reducismo, e neanche del revanscismo. «Va tutto bene così, se pensano che io non possa neanche parlare a bambini e bambine nelle scuole, raccontare lo sport, padronissimi di farmi stare a casa. Un certo tipo di solitudine non mi dispiace neppure troppo. L’ha provata anche Pietro Mennea, ne abbiamo parlato fra di noi ma mica troppo, sia per non compiacere a qualcuno, sia per compiacerci con noi stessi del sapere stare appartati e saperci godere comunque la vita, anzi di saperci costruire una, due, tre vite diverse».

È stata e secondo noi rimane la donna massima del nostro sport. A Mosca 1980 ha battuto le tedesche dell’est, le sovietiche, si sapeva che molte usavano, e molto, la chimica, lei non ha mai fatto polemiche nel prima e nel dopo gara, mai dichiarazioni acri. E non ha mai giocato al gioco di spargere sospetti, neanche sfruttando il vento leggero delle ipotesi vaghe. Ha fatto parlare i risultati, i centimetri, ha condito le vittorie e le sconfitte con un sorriso costante, aperto, solare. «Mi sono rivista in televisione a Mosca quando consolo quella che ho battuto, quella che ha appena chiuso con il sogno suo, e mi sono piaciuta, mi sono sentita sportiva vera».

Mai un rimpianto, lo giura. Neanche quello di non avere coltivato la danza classica suo primo amore, per la quale era portatissima? «Il fatto è che una ragazzina alta quasi centottanta centimetri che fa la ballerina sulle punte è sempre ridicola, anche se balla bene. Io poi manco trovavo le scarpette con la punta speciale, di piedi ho il 41…».

Per finire consegniamo a Sara la signorina Alessia Trost, friulana, che salta due metri e che targano come nuova Simeoni. «È giovanissima, è alta, midicono che ha carattere, dunque dovrebbe fare grandi cose». Siamo stati testimoni personali di come e quanto Sara aspettava che qualcuna le togliesse un record, perché questo avrebbe significato il progresso dello sport che lei ama, certifichiamo adesso che se questa Alessia esplode nelle vittorie la casalinga di Rivoli Veronese è contentissima fra i contenti.