Gaia Piccardi, Corriere della Sera 15/04/2013, 15 aprile 2013
SIMEONI, 60 ANNI, 2 METRI SOPRA IL CIELO: «TENUTA IN VOLO DALLA FORZA DEI RICORDI»
C’era il secondo governo Cossiga. Vallanzasca evadeva da San Vittore, il Milan retrocedeva in Serie B per il calcioscommesse, Tobagi cadeva sotto il piombo del terrorismo. C’era un Dc9 della compagnia Itavia, in volo da Bologna a Palermo; e alle 20.45 del 27 giugno, 40 miglia a nord di Ustica, non c’era più. E poi c’era lei, Sara Simeoni, filiforme e leggera e dolcissima, la donna che a 27 anni, con un salto — hop — cambiò l’Italia. Venerdì ne compie 60. Di già, Sara? Sembra ieri. «A 30 mi ero detta: accidenti come sono vecchia! Ora ne ho il doppio e non ho capito bene cosa sia successo nel frattempo...».
Nel 1980, annus horribilis, l’arcigna Mosca, boicottata dagli Usa e da altri 64 Paesi, le si accoccolò ai piedi: oro nel salto in alto all’Olimpiade una settimana prima della strage di Bologna. Quell’Italia non c’è più. Sara invece è sempre qui, impermeabile alle eredi («La Trost? Umile, matura, talentuosa, ben allenata: ha tutto per riuscire»), inchiodata nella nostra memoria come una farfalla da collezione. Rara. Bellissima. Con i suoi gesti semplici — rincorsa, stacco, volo a planare — è stata un balsamo per l’anima. Il ricordo, lo è ancora.
Tanti auguri, Sara. Di cuore.
«Grazie. Lo spirito e l’entusiasmo sono quelli di sempre però gli anni ci sono».
L’improvvisa scomparsa di Pietro Mennea, che a Mosca ’80 fu oro nei 200, ha spolverato antiche memorie?
«Mi ha dato da pensare, sì... Non eravamo più in contatto da anni ma avrei voluto almeno salutarlo. Il periodo di vita condiviso con Pietro, tra gli allenamenti a Formia e le gare in giro per il mondo, ci legherà per sempre».
Un ricordo che prevale?
«L’orgoglio di Pietro, quel suo non lasciar mai trasparire la fatica e i sacrifici. I viaggi. Le mangiate di pesce alla trattoria Chinappi di Formia: un rito scaramantico, prima e dopo le trasferte. Formia era la nostra seconda casa. I miei 50 anni li festeggiai lì».
È vero che fu suo marito, Erminio Azzaro, a sedare nel ’79, proprio a Formia, la famosa rissa tra Mennea e Berruti?
«Sì. Erminio fece da paciere».
Il colpo di fulmine a Sochi, nel ’73?
«Con Erminio, che faceva il saltatore, ci conoscevamo già da tempo. Poi ci fu quel raduno in Russia, dove l’anno prossimo faranno l’Olimpiade invernale. E scoccò la scintilla».
Adottò il Fosbury l’anno dopo la sua invenzione (1968). Ha mai saltato ventrale?
«Il minimo indispensabile: mi faceva un po’ paura e l’abbandonai subito. Avevo cominciato da poco, quando vidi Fosbury vincere l’oro a Città del Messico. Saltavo a forbice, pensai che passare al Fosbury fosse più semplice. Era tutto sperimentale, si viveva alla giornata: il campo era il nostro laboratorio e si procedeva per sensazioni. All’inizio, ci fu chi si ruppe il naso nel richiamare le gambe. E il telo sul saccone era così teso e ruvido che sembrava di cadere su una tavola. Si facevano i filmini in Super8 per rivedersi. Tempi lunghissimi. Mancava tutto: attrezzature, strumenti, materiale, soldi...».
È fantatletica, ma gareggiare oggi le piacerebbe?
«L’oggi è meglio lasciarlo ai giovani. Di certo, con i mezzi moderni, avrei potuto vincere di più e più in fretta».
A Monaco ’72, la sua prima Olimpiade, migliorò di 5 cm il record italiano (6ª con 1,85 m, a 19 anni).
«Ancora mi chiedo come... Ero grezza in tutto: nel gesto, nella corsa, nell’abbigliamento. Feci due conti: con 3 cm in più sarei salita sul podio. E decisi di darci dentro seriamente».
Prima, però, venivano gli uomini e gli allenamenti del Verona calcio.
«Ed ero sempre sola: mi dovevo motivare in continuazione. Dopo l’argento a Montreal ’76, allenandomi quotidianamente a Formia, migliorai moltissimo».
Ha più sentito Rosemarie Ackermann, Ddr, la sua rivale storica?
«Appena smesso ci si scriveva, ci si mandavano gli auguri di Natale... Poi ci siamo perse. Ma ho ottimi ricordi di Rosemarie. Una volta, in Coppa Europa, facemmo il bagno in piscina in mutandine e reggiseno perché non avevamo portato il costume. Arrivarono le altre ragazze della Ddr e ci sfidammo a pallanuoto, solo che noi giocavamo per divertirci mentre quelle picchiavano come fabbri!» (ride di gusto).
Che fine ha fatto quello sport romantico, Sara?
«Cancellato dai soldi, dal superprofessionismo, dalla cosiddetta evoluzione. Eroi dello sport romantico, guardi, non eravamo poi in tanti: eppure io sono l’unica ad essere stata emarginata, abbandonata. Finché vincevo, andavo bene a tutti. Poi, un po’ alla volta, l’isolamento da parte delle istituzioni è stato progressivo».
Perché?
«Non ho mai chiesto poltrone, anche se avrei potuto farlo. A me piaceva dedicarmi ai giovani ma alla Federazione, che non ha mai dovuto cacciare una lira, a un certo punto non andò più bene neanche quello. Ho girato le scuole di tutta Italia per promuovere i valori dello sport. Oggi vado avanti e indietro da Chieti, più di mille chilometri, a mie spese: insegno Sport Individuali, Atletica. Gli faccio anche un favore, a quelli della Federazione!».
Pensa che con il nuovo corso potrà cambiare qualcosa?
«Alfio Giomi lo conosco dal ’90. Sono scettica: non andavo bene prima, perché dovrei andar bene adesso?».
Ignazio La Russa l’ha candidata al Quirinale.
«Cosa vuole che le dica? Non lo conosco ma mi ha fatto piacere...».
È il senso degli italiani per Sara Simeoni, 60 anni dopo, a stupire ancora.
«Ho avuto la fortuna di vincere medaglie in anni difficili per l’Italia, anni in cui lo sport distoglieva dai problemi del quotidiano. Forse ci si è affezionati a me, come a una di famiglia, perché non facevo risultato una tantum: mi confermavo sempre. Al ritorno da Mosca al mio paese, Rivoli Veronese, attaccarono dei poster: Sara non tradisce mai. Sono felice di aver passato un messaggio di fedeltà. Hanno cercato di farmi cadere nell’oblio, ma il ricordo resiste».
Gaia Piccardi