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 2013  aprile 15 Lunedì calendario

LA CORSA AL COLLE

Si fa presto a dire, ecco il candidato ufficiale per il Quirinale, votatelo. Nella storia della Repubblica chi ci ha provato, sinora è finito male. In 65 anni tutti (o quasi) i candidati ufficiali dei partiti di maggioranza relativa, la Dc e poi i Ds, sono stati affondati da un fuoco amico ed invisibile: quello dei franchi tiratori. Ogni elezione, un romanzo. A cominciare dalla prima, quella del 1948: Alcide De Gasperi, un gigante mica uno dei nani che sono venuti dopo, punta su Carlo Sforza ma al primo manifestarsi dei cecchini dc, deve «ripiegare» su Luigi Einaudi. Da allora nessun leader di partito sarà mai eletto Presidente della Repubblica, perché tutti i big che via via si affacceranno, saranno colpiti e affondati nel voto segreto dai cosiddetti franchi tiratori.

Figure che nell’immaginario collettivo hanno finito per essere sinonimo di traditori. Tecnicamente lo sono stati. Ma se i malfamati cecchini, a loro modo, fossero stati anche un contropotere, uno dei tanti contropoteri italiani? Angeli e demoni? Una cosa è certa: senza di loro la storia italiana sarebbe stata diversa. In alcuni casi diversissima. Ecco cosa riconosce oggi Paolo Cirino Pomicino, che nel 1992 fu uno degli artefici andreottiani della caduta di Arnaldo Forlani, segretario Dc che si ritirò dopo che gli mancarono 29 voti democristiani: «A posteriori non c’è il minimo dubbio: se avessimo eletto subito Arnaldo Presidente, con lui al Quirinale e col successivo incarico di formare il governo a Craxi, la storia italiana sarebbe stata molto diversa». Come dire: niente Mani pulite. I franchi tiratori puntavano su Andreotti e finirono per produrre l’ascesa dell’ostico Scalfaro e questa si chiama eterogenesi dei fini. Ma altre volte i cecchini sono stati artefici consapevoli del destino politico nazionale. Ecco perché è avvincente, e a volte anche tragica, la storia di 65 anni di tranelli presidenziali. Che almeno in un caso sono «accompagnati» da delitti terribili.

La prima dissidenza a voto segreto si manifesta già nella prima elezione di un Capo dello Stato, quella del 1948: la scelta del ministro degli Esteri, un antifascista a tutto tondo e benvoluto dagli americani come Carlo Sforza, non è gradita dagli amici di Giuseppe Dossetti, che dunque si rivelano come i primi franchi tiratori della storia repubblicana. Ecco come li descrisse colui che è stato probabilmente il più grande giornalista politico del dopoguerra, Vittorio Gorresio de "La Stampa": Dossetti, La Pira e Fanfani appartenevano "al gruppo dei professorini, uno dei primi esempi di quelle che dovevano essere le correnti", "dinamici e austeri, vivaci e integrlisti, erano l’afflizione di De Gasperi", "molto di sinistra", "in genere provavo disgusto per gli anziani, specie se non cattolici". Pennellate che evocano un idealtipo, il professorino integralista, destinato a ripetersi in tantissimi epigoni, anche recenti. E comunque Sforza - appena scritto il discorso presidenziale, di notte ricevette in casa la visita di Giulio Andreotti e si convinse a ritirrsi - e la scelta, anche per volontà dei dossettiani, cadde su Luigi Einaudi, che a parere unanime fu un grande Presidente.

Nel 1955 il nuovo astro della Dc post-degasperiana, il piccolo e dinamico Amintore Fanfani, punta su Cesare Merzagora ma riecco i franchi tiratori democristiani, stavolta alleati (ecco la prima variante, che potrebbe ripetersi a giorni) col "nemico": una notte si scopre che socialist, comunisti e persino missini, l’indomani sono pronti a convergere sul democristiano Giovanni Gronchi, toscano di Pontedera, molto malvisto dall’aretino Fanfani che però è costretto ad adeguarsi e a convergere. Dal 1962 al 1978, franchi tiratori nella versione incrociata fanno cadere grandi leader (Amintore Fanfani, Aldo Moro, Pietro Nenni, Ugo La Malfa), contribuendo alla elezione a presidente di Antonio Segni, Giuseppe Saragat, Giovanni Leone e Sandro Pertini. Due soli Presidenti saranno eletti alla prima votazione: Francesco Cossiga nel 1985 (artefice Ciriaco De Mita) e nel 1999 Carlo Azeglio Ciampi, che pose come condizione la convergenza unanime.

Ma è stato nel 1992 che i romanzi soft dei 44 anni precedenti si trasformano in qualcosa di profondamente diverso: un romanzo criminale. Siamo in primavera e la vigilia è tesissima: l’inchiesta di Mani pulite segna i primissimi colpi, ma soprattutto le elezioni politiche hanno fatto segnare (un po’ come ora) un vincitore dimezzato, perché la Dc per la prima volta nella sua storia è scesa sotto il 30% e la semisconosciuta e aggressiva Lega di Bossi è balzata all’8,6%. Al Quirinale puntano due dc doc, il segretario Forlani, il presidente del Consiglio Andreotti. E proprio il divo Giulio fa mosse da brivido. L’11 maggio parla ai prefetti al Viminale e dice testualmente: «Può darsi che sia meglio che i partiti se ne vadano», «bisogna abolire il finanziamento pubblico», «per certe scelte che abbiamo fatto, meritiamo l’inferno, che il Signore ci perdoni». Parole inaudite e la sera, incontrando il prefetto Raffaele Lauro (amico di Antonio Gava) Andreotti rincara così: «Dica a Gava che se non sarò eletto Presidente, finirà la Prima Repubblica».

Ma Forlani va avanti lo stesso e lui, così antiretorico, in un incontro con il leader Pds Achille Occhetto, improvvisamente si mette a parlare delle ultime ore di vita di Hitler e di Eva Braun nel bunker di Berlino: «Sapevano che stavano per morire, si preparavano al suicidio col cianuro, ma continuavano come se nulla fosse. Come ora...». E infatti Forlani si candida e gli andreottiani lo fanno fuori. Col voto segreto. Ma poche ore prima che Andreotti possa finalmente scendere in campo, il 23 maggio viene assassinato Giovanni Falcone. I giochi democristiani si bloccano. La scelta cade su un dc sempre emarginato dai big, Oscar Luigi Scalfaro. Come aveva predetto Andreotti, sarà la fine della Prima Repubblica. Sessantacinque anni di elezioni presidenziali parlano chiaro: ogni volta che i franchi tiratori possono interferire, portano su strade diverse da quelle sperate dai leader. Ecco perché Bersani e Berlusconi stanno provando a trovare una soluzione il prima possibile.