Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Come mai l’Atr72, che è andato fuori pista a Fiumicino, sabato sera indossava la bella livrea tricolore dell’Alitalia e ieri mattina risultava invece candido come un giglio e senza scritte che ricordassero la nostra compagnia di bandiera?
• Come mai?
Perché quelli dell’Alitalia hanno pregato la magistratura di togliere il logo dalla carcassa, in modo da preservare il buon nome della compagnia. E gli inquirenti hanno acconsentito. I dirigenti Alitalia sostengono che, in casi come questo, è procedura normale. Crediamogli, anche se in vita mia ho visto parecchie foto di incidenti aerei, e qualche volta sono anche andato di persona sul luogo del disastro, ma che si procedesse a uno spogliarello dopo il guaio è la prima volta che lo sento dire. In ogni caso, è ancora più interessante questo punto: sabato sera si notava poco, ma ieri mattina, con tutto quel bianco, si vedeva benissimo una piccola scritta YR-ATS piazzata vicino a una bandierina blu-giallo-rossa. Che cosa significava? Ecco quello che dovremmo domandarci.
• Che cosa?
Ci interessa la bandierina. È quella della Romania. L’aereo era travestito da Alitalia. Era in realtà un apparecchio Carpatair.
• Spieghi.
Alitalia, per risparmiare, ha dato in appalto certe rotte brevi a questa Carpatair. Il contratto risale al 20 settembre 2011. I romeni, con loro piloti e loro equipaggio, coprono in genere le rotte Roma-Pisa-Roma e Roma-Ancona-Roma. Per contratto devono vestirsi come fossero Alitalia e i passeggeri meno avvertiti non si accorgono del trucco, anche perché, oggi, sentire accenti romeni in Italia è normale. Pare però che il fuori pista sia avvenuto proprio per questioni di lingua: i piloti e la torre di controllo non si capivano. Quella del vento, si direbbe, è una scusa: altri aerei sabato sera sono andati e venuti da Fiumicino con lo stesso vento da 50 chilometri all’ora e non hanno avuto problemi. L’incomprensione tra piloti e torre, se provata, renderebbe ancora più grave l’idea di ricorrere all’outsourcing in un caso come questo.
• Outsourcing significa che dai fuori un lavoro che dovresti fare dentro?
Sì. Tuttavia il ricorso a un service esterno, in qualunque campo, è giustificato solo se il service offre lo stesso servizio, o magari un servizio superiore, allo stesso costo, o magari a un costo più basso, di quello che bisognerebbe sopportare realizzando tutto in casa (tralasciamo il caso, non infrequente, in cui all’interno dell’azienda non ci sono le competenze per fare una certa cosa). I sindacati vedono queste procedure come il fumo negli occhi perché i service sono fuori dal loro controllo e le aziende li adoperano in genere per non assumere. La Cisl aveva già scioperato contro Carpatair, basandosi sull’argomento piuttosto forte che questa compagnia romena aveva un curriculum dubbio, specialmente negli ultimi mesi. Le agenzie ieri hanno elencato almeno cinque incidenti recenti, non gravi, ma comunque preoccupanti. In Alitalia dicono che i cinque incidenti sono un caso di «densità statistica» (come quando alla roulette il rosso esce ostinatamente per una dozzina di volte consecutive), però il guaio di sabato sera mette la compagnia un po’ con le spalle al muro. Ieri il contratto con Carpatair è stato sospeso e Alitalia ha detto che su quelle rotte d’ora in poi provvederà da sé. Vedremo poi che succederà quando la magistratura avrà concluso i suoi lavori.
• Alitalia ricorre a Carpatair perché sta messa nei guai dal punto di vista finanziario, vero?
Un argomento dei sindacati (la Cisl ha già fatto quattro ore di sciopero e dovrebbe astenersi dal lavoro per tutta la giornata di oggi) è che mentre Alitalia ricorre al lavoro esterno, ci sono ancora 500 cassintegrati della vecchia compagnia, quella messa in liquidazione nel 2008. Sì, i conti di Alitalia non sono buoni. L’operazione del 2008 avrebbe provocato un danno all’erario di tre miliardi e su questo la Procura di Roma sta procedendo contro 17 tra amministratori delegati, presidenti, consiglieri e dirigenti dell’epoca 2001-2007. Fino al 2011 la nuova Alitalia ha bruciato 600 milioni di risultato operativo e 800 milioni di risultato netto. I numeri del 2012 non si conoscono ancora, ma si sa già che peggioreranno, e di molto, le cifre precedenti. Fino a pochi giorni fa i 20 soci che, piegandosi a una specie di diktat di Berlusconi erano corsi a metter soldi nell’azienda, non potevano vendere (divieto che prende il nome di “lock up”). Fino a ottobre, prima di vendere, dovranno comunque chiedere il permesso al cda. Dopo ottobre, ognuno potrà fare quello che vuole. L’unico problema è: qualcuno vuole comprare? Air France, che ha il 25%, pare abbia offerto un solo euro, dato che chi compra dovrà accollarsi quelle perdite per 600-800 milioni. Gli arabi degli Emirati (Etihad) possono al massimo entrare con una quota di minoranza, perché se il padrone dell’Alitalia fosse un non-europeo perderebbe tutti i diritti di volo. Le casse sono di nuovo vuote e nell’ultimo cda si è discussa la possibilità che i soci stessi prestino alla compagnia un duecento milioni per farla tirare avanti ancora qualche mese. Doveva esserci un altro cda oggi, ma, visto il fattaccio di sabato, è stato rinviato a lunedì prossimo. Di mettere insieme Ferrovie dello Stato e compagnia aerea non parla più nessuno (sarebbe comunque una nazionalizzazione). Il ministro Passera, uno dei protagonisti del pasticcio del 2008 (quando comandava in Intesa) ha garantito che il finale della vicenda sarà una bella fusione con Air France, dopo la quale l’“Italia” avrà in mano una quota significativa, forse addirittura di maggioranza, del «più importante carrier europeo». Sarebbe molto bello. Peccato che a questa ipotesi non crede nessuno.
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