Rainer Masera, Affari&Finanza, la Repubblica 4/2/2013, 4 febbraio 2013
SCANDALO MONTEPASCHI UNA LEZIONE DA IMPARARE
Il “caso Mps ” è molto complesso, per l’intreccio di problemi che hanno concorso alla crisi della più antica banca del mondo. Semplificando al massimo, emergono quattro principali profili.
In primo luogo, quello di corporate governance della Banca e della Fondazione azionista di riferimento. In secondo luogo, si intersecano le azioni e le scelte di due autorità di vigilanza: quella della Banca d’Italia responsabile della supervisione bancaria, e quella del Ministero dell’Economia, cui compete la sorveglianza sulle fondazioni bancarie. Ad esse si è affiancato ora il vaglio dell’autorità giudiziaria, che ha ipotizzato la costituzione di un’associazione a delinquere e ha iscritto la stessa Banca nel registro degli indagati. Non è vero dunque che le responsabilità da accertare siano meramente individuali. Ove provata, la presenza di attività di carattere criminale sottolineerebbe la specificità del caso in questione. In terzo luogo, si pone la questione delle forme di intervento pubblico a sostegno della Banca, la scelta tra ricapitalizzazione e acquisto di obbligazioni speciali (Monti-bonds).
Questi interventi prefigurano implicazioni indesiderabili di “azzardo morale”, nella misura in cui, offrendo garanzia di salvataggio, esimono il management della Banca dall’assumersi le responsabilità di una cattiva e imprudente gestione. Al riguardo, l’Unione Europea sta valutando la creazione di autorità di risanamento e risoluzione delle banche, dopo l’introduzione di una rigorosa normativa negli Usa (Dodd-Frank Act), per prevenire l’utilizzo di denaro pubblico per salvare le banche in difficoltà. Ultima, ma di pari importanza, è la questione dell’utilizzo di derivati complessi e opachi nel Mps e in generale da parte delle banche, al loro interno e nelle relazioni con la clientela (imprese ed enti pubblici).
Le principali responsabilità della crisi sono da imputare alle scelte operate dai responsabili della Banca e della Fondazione. Al di là dei gravi comportamenti di omissione di informazione alle autorità di vigilanza e di eventuali disegni di carattere criminale, il management ha effettuato una operazione sbagliata: l’acquisito per 10 mld di euro di una banca, Antonveneta, con 3 miliardi di capitale tangibile, in un momento in cui in Italia e nel mondo gli avviamenti bancari subivano falcidie profonde. Il mercato lo ha sanzionato, distruggendo il controvalore dell’operazione con la caduta del prezzo di Mps: il titolo è sceso da 3,5 a 0,8 euro fra la fine del 2007 e il marzo 2009. Oggi quota 0,25, nonostante le iniezioni di mezzi freschi e il sostegno pubblico.
Gli aumenti di capitale e il Fresh riservato a JP Morgan (con clausole apparentemente tenute segrete) hanno contribuito a realizzare un’operazione votata a distruggere valore. La Fondazione, come azionista di riferimento, avrebbe dovuto evitare l’enorme concentrazione di risorse sulla Banca, che le ha impedito di mantenere un’opportuna diversificazione dei propri investimenti per adempiere ai compiti istituzionali, andando addirittura a leva per far fronte agli aumenti di capitale riservati. Lo stesso Ministero dell’Economia nella sua azione di vigilanza sulle Fondazioni avrebbe dovuto porre maggiore attenzione ai profili di diversificazione (e dei rischi impliciti nel controllo a delle banche di riferimento da parte di organismi connessi alla politica e, in particolare, dell’intreccio tra fondazioni e banche, con il passaggio dei vertici delle prime alle seconde).
A seguito dell’operazione su Antonveneta, il Tesoro era già intervenuto nel 2009 in favore di Mps con l’acquisto di Tremontibonds per 1,9 mld. Oggi, il Governo Monti ha deciso di assegnare 3,9 mld di Monti-bonds a Mps (previa sostituzione alla pari dei Tremonti-bonds). Si ricorda che oggi il valore della Banca si commisura a 2,6 miliardi. I Montibonds sono meno onerosi per la Banca rispetto ai precedenti (a scapito del taxpayer?), ma comunque gravemente penalizzanti il conto economico prospettico (il tasso di interesse iniziale del 9% può essere incrementato fino al 15%).
l Ministero dell’Economia ha raggiunto il convincimento, sulla base della due diligence svolta, che la Banca ha una solida posizione patrimoniale, come spiegato in Parlamento dal Ministro Grilli. Sarebbe stato, allora, più opportuno operare il sostegno pubblico attraverso l’acquisto di azioni: la fiducia nei valori di libro e nelle prospettive della Banca avrebbe consentito di prevedere capital gains man mano che il valore del titolo si avvicinava quantomeno a quello di libro (price to book attuale 0,27). Al contempo, si sarebbe evitato il rischio di soffocare il conto economico con gli elevati oneri di interessi. Effetto collaterale, a mio avviso desiderabile, sarebbe stato quello di estromettere la Fondazione come azionista di riferimento della Banca. Un’azione trasparente svolta nel modo indicato sarebbe stata, inoltre, più in linea con gli indirizzi che si stanno delineando a livello europeo.
Al riguardo occorre dotare l’autorità di vigilanza di poteri più ampi di intervento in banche sistematicamente rilevanti che si avvicinano a condizioni di insolvenza. Si deve sciogliere il nodo giuridico fra efficienza e rapidità degli interventi e tutela degli interessi degli azionisti. Il Dodd-Frank Act rappresenta un modello da valutare con attenzione.
Per fare chiarezza sull’intera vicenda occorre infine accertare e valutare le complesse operazioni finanziarie poste in essere dal Mps attraverso derivati, che hanno impedito alla stessa Banca d’Italia di svolgere al meglio la sua puntuale azione di vigilanza. Ci si può al riguardo domandare se i repo strutturati posti in essere dal Monte con grandi banche internazionali non nascondano operazioni improprie di assicurazione dei titoli pubblici italiani (una banca con sostegno pubblico avrebbe offerto garanzie sul debito pubblico stesso). Il problema, peraltro, è generalizzato, grave e delicato. Non si può non ricordare che lo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze ha posto in essere operazioni per 160 miliardi in derivati apparentemente con banche internazionali che hanno portato, come si ricorderà, alla contabilizzazione di 2,6mld di perdite nei confronti di Morgan Stanley nel marzo del 2012.
Nei giorni scorsi, nel Regno Unito la Financial Services Authority ha annunciato di voler fare chiarezza sui rapporti fra le banche e il sistema economico attraverso derivati (il 90% dei derivati di interesse venduti dalle banche inglesi alle Pmi sarebbero irregolari). Il caso Mps conferma che analogo accertamento sarebbe opportuno in Italia. Si collegherebbe alle decisioni finalmente prese in Europa e negli Usa volte a riportare, per quanto possibile, i contratti derivati sui mercati regolamentati.