Ettore Livini, la Repubblica 4/2/2013, 4 febbraio 2013
LIVREA TRICOLORE, AEREI ED EQUIPAGGI LOW COST COSÌ IL SALVAGENTE ROMENO È DIVENTATO ZAVORRA
Il miracolo di Fiumicino, scherza qualcuno. L’alba della coda di paglia, dicono i più disincantati. La certezza è una sola: l’incidente di sabato notte e il colpo di bacchetta magica (o di vernice e pennello, come sostiene qualche scettico) con cui l’Atr 72 matricola Yr-Ats si è trasformato in una notte da aereo dell’Alitalia ad anonimo velivolo made in Romania, è l’ennesima tegola che cade sulla testa della ex compagnia di bandiera.
La Carpatair — debitamente tinteggiata in bianco-rosso-verde per non gettare alle ortiche la bandiera dell’italianità — doveva essere uno dei salvagenti per tenere a galla il bilancio, in attesa messianica di un rilancio che non arriva mai. E invece rischia ora di essere
un boomerang in grado di rendere ancor più difficile il risanamento. A quattro anni dal salvataggio pilotato da Silvio Berlusconi e costato 3 miliardi ai contribuenti italiani, i conti della cordata dei patrioti guidati da Roberto Colaninno non tornano ancora: dal 2009 allo scorso settembre Alitalia ha bruciato 735 milioni di perdite, in cassa sono rimasti pochi soldi, i soci litigano tra di loro e il cda per trovare i capitali necessari per andare avanti — previsto per oggi — è stato rinviato proprio per le divergenze tra gli azionisti.
Il caso della Carpatair è lo specchio più fedele delle difficoltà dell’aerolinea. È vero, come dicono sui loro blog tutti gli esperti del settore, che la pratica del subaffitto delle rotte è prassi comune nei cieli europei. Lo ha fatto tante altre volte in passato la stessa Alitalia (con British Midland e Minerva ad esempio) senza che nessuno ci trovasse niente da dire. Lo fanno Lufthansa ed Air France. E Meridiana, per dire, ha appena girato in appalto alla Turkish Airlines un suo A320 che ora vola sotto la mezzaluna di Ankara con equipaggio e aerei italiani.
Il goffo sbianchettamento della notte di San Biagio dimostra però
che Alitalia si è mossa nel mondo del wet-lease con un po’ di coda di paglia, come se avesse qualcosa da nascondere. Inventando, solo per risparmiare cinque milioni, il miracolo in versione andata e ritorno: prima, ad aprile 2012, ha preso in affitto i due aerei della Carpatair completi di equipaggio, manutenzione e assicurazione. E con una semplice magia — leggi una ripassata di vernice — ha provveduto a trasformarli in velivoli Alitalia per non spiazzare i passeggeri, addobbandoli con il tricolore, vendendoli
come voli Az ma nascondendo la loro carta d’identità a chi comprava i biglietti dietro l’anonima sigla (V3) del partner di Bucarest affogata nei dettagli del contratto. Poi — con 16 feriti a bordo pista e un incidente ancora tutto da spiegare — ha messo la retromarcia. Sperando che una goffa mano di vernice per cancellare ogni traccia di Alitalia bastasse a coprire colpe, problemi e responsabilità.
Piloti e professionisti del settore, come sempre, gettano acqua sul fuoco: «Lo scandalismo non
serve — sostengono — La verità su cos’è successo si saprà solo dopo l’inchiesta». La verità è che da diversi mesi molti passeggeri italiani vanno al check-in convinti di avere in mano un biglietto dell’Alitalia, salgono a bordo rassicurati dalla livrea tricolore e poi, una volta seduti, scoprono che equipaggio e aereo hanno la (rispettabilissima) nazionalità rumena. «Inaccettabile », ha tweetato ieri con un pizzico di polemica elettorale Pierferdinando Casini. Interpretando però il mal di pancia dei tanti viaggiatori
incappati quattro volte nell’ultimo mese — «un addensamento statistico», ha minimizzato la società — nei guai (allarmi incendi, perdite di carburante, depressurizzazioni) capitati ai due sfortunati Atr. E trovandosi a gestire situazioni difficili con assistenti di volo che, con buona pace della sigla Az, non parlavano una parola di italiano.
Ma perché l’Alitalia nata sotto il segno dell’italianità (dopo il no di Berlusconi ad Air France) vola Carpatair? La risposta è facile: per risparmiare. L’accordo con l’aerolinea romena, firmato ad aprile 2012 e valido due anni consentiva, secondo indiscrezioni, di risparmiare circa 5 milioni. Pochi? Non per un’Alitalia che, con il mercato in crisi, viaggia a vista. Tanto che il tam-tam di settore, prima dell’incidente di sabato, prevedeva l’entrata
in servizio di altri 13 Atr made in Bucarest. La concorrenza del treno ha fatto crollare del 20% in autunno i viaggiatori sulla Milano-Roma, dove tra poco partirà la sfida di Easyjet. Air France, l’unico socio con le spalle larghe, aspetta sorniona a bordo pista di scendere in campo per rilevare la compagnia per un piatto di lenticchie. E il management nel frattempo è costretto a fare i salti mortali. I conti di fine 2012, fanno sapere da Alitalia, sono andati meglio del 2012. Nel 2013, ha detto l’ad Andrea Ragnetti, arriverà forse l’agognato utile operativo. Nell’attesa però Alitalia si è vista bloccare per un giorno la corsia veloce per gli imbarchi a Fiumicino da Aeroporti di Roma «per inadempimenti contrattuali ». Cioè perché non pagava.
Cosa succederà ora? L’accordo con Carpatair è in stand by. Air France e Intesa potrebbero garantire un mini-prestito per tenere a galla la società. Berlusconi, granitico, tiene la barra dritta: «Alitalia deve rimanere in mani italiane» ha ribadito pochi giorni fa. Peccato non abbia specificato di quale nazionalità debbano essere aerei ed equipaggi.