Ferdinando Camon, La Stampa 4/2/2013, 4 febbraio 2013
IO, ORGOGLIOSO DI ESSERE UN CONTADINO
Su Rai3, ad Agorà, venerdì scorso, una deputata campana del Pdl, Nunzia De Girolamo, ricandidata, si secca che la discussione slitti sul Veneto e sbotta: «Dovevamo parlare della Siria, invece siamo passati al Veneto…, altro che provinciali, qui siamo proprio contadini!». Una candidata del Pd obietta: «Il Veneto non è più terra di contadini». Ma lei: «Il Veneto è la terra contadina in assoluto». Questo succedeva venerdì scorso.
Da allora è un’esplosione di dichiarazioni: dare dei «contadini» ai veneti è come dare dei «mafiosi» ai meridionali, dire che i veneti sanno soltanto arare la terra è come dire che i napoletani sanno soltanto suonare il mandolino, e così via. Da tutto ciò si ricava una conclusione sorprendente: la parola «contadino» è sentita come un’offesa, una famiglia «contadina» deve sentirsi umiliata, un figlio di contadini si deve vergognare.
Chi scrive queste righe è nato in campagna, in una famiglia di contadini, eppure della famiglia, del paese, della campagna, del lavoro sui campi, del contatto con la natura, campi stalle buoi, dei piedi scalzi per sei mesi l’anno, del dialetto, della chiesa che sostituiva edicola cinema teatro carabinieri, sicché il senso del sacro riempiva il vuoto lasciato dalla mancanza d’informazione e di Legge, di tutto questo chi scrive queste righe ha un ricordo dolce e pasolinianamente straziante.
La mancanza d’informazione non era un problema, perché nei cervelli dei contadini girava un pensiero del tipo: «Ma le cose davvero importanti, nascita morte e aldilà, non sono affatto chiari, pensiamo a quelli, le cose di tutti i giorni non hanno importanza». Se qualcuno in paese si ammalava, tutto il paese lo sapeva e gli faceva visita. Qui in città è morto un bambino nell’appartamento di fronte al mio, i genitori sono andati via, e l’abbiamo saputo perché hanno messo in vendita il garage. Il bambino vale zero, il garage vale oro. Se si fa un funerale, vengono di malavoglia una piccola parte degli invitati.
In campagna, se c’era un funerale, suonavano le campane e tutti accorrevano. Colui che s’è chiesto «per chi suona la campana» aveva un’idea contadina della morte, perché in città la campana non la sente nessuno. In Tolstoj la campagna e la Natura sono rimedi contro la guerra e la morte. In campagna l’arrivo di una stagione lo si presentiva da mille cambiamenti in terra e in cielo, qui in città bisogna guardare la data sul giornale. Una deputata cittadina prova vergogna per me? E se le dicessi che io provo compassione per lei?
fercamon@alice.it