Mario Gerevini, CorrierEconomia 04/02/2013, 4 febbraio 2013
SE IL SINDACO NON BASTA, PROVA L’INVESTIGATORE
Siamo stati ingannati». «Eravamo all’oscuro». «È stata omessa la registrazione delle transazioni». «I documenti sono stati occultati». «I documenti erano falsi». «I conti all’estero? Non è nostra competenza».
La difesa dei controllori, sia quelli interni all’impresa (organi di vertice, audit, sindaci, revisori) che quelli esterni istituzionali (autorità di controllo), è più o meno sempre la stessa. Spesso hanno ragione.
Se sono carte false, anche se sei il migliore dei revisori, anche se leggi il bilancio come se fosse un Topolino, può essere tutto inutile.
E allora? Forse dopo aver vagliato, ispezionato, monitorato e rimonitorato le carte, bisognerebbe andare a guardare in casa di chi imbastisce operazioni anomale o sospette. Bisognerebbe magari interrogarsi sul tenore di vita. Incrociare banche dati, cercare nelle proprietà della moglie, della mamma, di un prestanome. Nelle banche si potrebbero spulciare i tabulati telefonici (obbligatori) dei desk di negoziazione. Forse così si poteva scoprire la «squadra del 5%», i dirigenti dell’area finanza di Mps che lucravano in Svizzera sulle operazioni della banca grazie a intermediari compiacenti. Insomma, essere un po’ più carabinieri e un po’ meno ragionieri.
Ma è questo il lavoro del revisore? No, è da investigatore specializzato. E forse è quello che è mancato in molte grandi imprese (ma anche partiti politici).
L’impostazione dei cacciatori di frode è preventiva e repressiva. Ed è complementare a quella dei revisori. «Spesso lavoriamo insieme – afferma Marianna Vintiadis, country manager per Italia e Grecia di Kroll, il colosso mondiale delle investigazioni — ma anche i collegi sindacali possono avvalersi di consulenti esterni solo che non hanno budget».
Succede raramente, o troppo tardi, quando la frode ha già prodotto danni irreversibili. «Per prevenire efficacemente e individuare una frode prima che finisca sulle prime pagine dei giornali — secondo Colum Bancroft, managing director presso l’ufficio di Hong Kong e capo delle investigazioni finanziarie di Kroll in Cina — in azienda deve essere organizzata, oltre alla revisione esterna, una valutazione indipendente del rischio di frodi».
Il controllo delle fatture, la circolarizzazione, è un compito tipico dei revisori che devono chiedere conferma delle transazioni alle controparti dell’azienda. Ma se le controparti sono offshore o prestanomi conniventi con un management (o una parte di esso) truffaldino e ti confermano fatture false? «Non è compito dei revisori ricostruire catene proprietarie e richiedere visure societarie», dice Vintiadis.
La Kroll ha risolto un caso di frode ai danni di una multinazionale grazie alla «visita» alla sede di una filiale che aveva un grosso giro di fatture. La sede era in una cassetta postale di una bocciofila di Barletta.
Un revisore non fa sopralluoghi e nemmeno l’ispettore dell’Authority (Bankitalia, Consob). Al massimo quest’ultimo delega la Gdf o l’autorità giudiziaria ma solo se davvero necessario (e i tempi si allungano).
Altro caso affrontato da Kroll per un cliente straniero che ha indirettamente rapporti economici consistenti (e formalmente corretti) con una multinazionale «pulita»: le carte contabili sono ineccepibili ma l’amministratore delegato è un ragazzino che vive con i genitori in una catapecchia. E il miliardario proprietario della multinazionale, un bulgaro, è registrato nel medesimo nucleo familiare. Ecco un’altra verifica banale che i revisori (non per colpa loro ma delle norme) non sono tenuti a fare: andare all’anagrafe.
La Kroll tira l’acqua al suo mulino ma la farina di quel mulino potrebbe essere preziosa per prevenire o risolvere molti casi prima che scoppi il drammone finanziario.
Perché spesso è la testa curiosa dell’investigatore che si combina bene con il cervello analitico dell’auditor.
«Nelle nostre squadre abbiamo sempre anche esperti contabili — spiega il numero uno di Kroll Italia — gente che ha fatto revisione. Analizzano bilanci ma possono anche andare a intervistare persone con un microfono nascosto».
I grandi gruppi di revisione che si spartiscono il mercato (le big four: Deloitte, Price, Ernst & Young, Kpmg) hanno divisioni forensic, anche molto qualificate ed efficaci. Ma, secondo Vintiadis, con un approccio ex post: «Ti dicono che cosa è successo, noi cerchiamo di scoprire cosa sta succedendo e chi lo sta facendo».
Altro caso emblematico tra i tanti affrontati da Kroll. È in vendita una concessione mineraria; si fa la dataroom con l’analisi dei rapporti degli ingegneri del venditore, la perizia del geologo, le carte contabili, passate al setaccio e formalmente perfette. Il potenziale investitore incarica Kroll di fare una verifica ulteriore. Gli investigatori analizzano prima le carte, stimano sulla base dei numeri della dataroom quante tonnellate di materiale dovrebbero essere estratte al giorno e quindi trasportate. Poi per giorni e giorni due uomini della Kroll si piazzano all’ingresso della miniera e contano i camion che escono. Rarissimi: era una miniera esaurita. Una truffa.
Mario Gerevini